La Sacra Pipa (o “Chanunpa Wakan” o “Calumet”) è lo straordinario emblema di pace (e di preghiera) degli Indiani dell’America del nord. Racchiude in sé tutto il loro profondo ‘senso religioso’ ed è intrisa di significati simbolici importanti. La leggenda Lakota-Sioux vuole sia stata donata agli uomini dalla femmina bianca di bisonte con le 7 cerimonie, infatti era la pipa cerimoniale utilizzata per stipulare i trattati di pace, fumata in altri significativi rituali. Essa si compone di due parti:
-il cannello (o “ihupo”, detto anche “sinte” = coda,) che è in legno d’acero (o di frassino) e rappresenta gli UOMINI (e anche il genere maschile). Può essere decorato, in questo caso ci sono i quattro colori: rosso, blu, bianco e giallo
-il fornello (“pahu”) che simboleggia la carne viva ed il sangue coagulato della MADRE TERRA (e rappresenta il genere femminile) è scolpito invece in una pietra particolare, la “inian sha” o catlinite (dal nome di George Catlin, celebre per avere ritratto tra gli altri gli indiani Mandan prima che un’epidemia di vaiolo li sterminasse quasi tutti) di colore rosso mattone (è infatti ferrosa e la si lavora abbastanza facilmente). La catlinite si trova solo nell’attuale stato del Minnesota. (I Cherokee per esempio creavano il fornello lavorando una sorta di creta).
La stessa ‘dualità’ della Chanunpa è sacra, proprio perché è simbolo, come accennato sopra, dell’unione tra i molteplici ‘opposti’ che ci circondano: a iniziare da maschio e femmina, ma anche mondo materiale e mondo spirituale, cielo e terra etc.
Unire il fornello al cannello e pregare fumando la Sacra Pipa significa quindi rappresentare simbolicamente l’unione di tutti gli opposti, mostrando come ogni essere ed ogni cosa presente sulla Terra (e nell’intero Universo) abbia una comune origine, con la consapevolezza che ciò che vediamo sia legato a ciò che non vediamo e viceversa.
Mentre si riempie il fornello con erbe e cortecce bisogna rivolgersi agli Spiriti delle Quattro Direzioni, al Padre Cielo e alla Madre Terra.
Il rituale prevede che chi fuma la Sacra Pipa debba rivolgersi verso est all’alba e verso ovest al tramonto.
Il miscuglio di corteccia, tabacco ed altre erbe riconduce al mondo vegetale e quindi all’ACQUA, elemento vitale (non soltanto per l’uomo ma anche) per le piante; l’accensione della pipa allude invece al FUOCO. Il fumo alzandosi verso il cielo vi porta le preghiere e configura l’atto di unione tra l’uomo e gli dei. Il Calumet è ritenuto al pari di un essere vivente e quando non viene usato (proprio perché le due parti insieme generano la vita) cannello e fornello devono stare rigorosamente separati (porterebbe sfortuna tenerli uniti) e, questo me lo ha insegnato la mia amica Liz in occasione di un suo viaggio in Italia, conservati bene avvolti in un telo di stoffa rossa. E’ buona norma inserire della salvia essiccata nel fornello.
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sabato 23 agosto 2014
Occhio alle BUFALE!
Accendi il computer, ti connetti ad Internet e ti si apre un mondo (virtuale) di opportunità: amici in ogni parte del mondo con cui rapportarti, notizie in tempo reale, film, documentari, acquisti on-line e la possibilità di accedere a migliaia (forse milioni) di dati.
Molto spesso però accade di imbattersi in vere e proprie bufale: è l’innocente (?) caso della Leggenda Hopi sugli Uomini Rettile (serpenti e/o lucertole) che con due righe stringate (sempre le stesse) rimbalza da un sito all’altro senza la citazione di alcuna fonte (in cerca di credibilità: presto o tardi a forza di essere riportata, copiata ed incollata una storiella -rischia di o- finisce per essere ritenuta VERA! Anche (e soprattutto) perché qualche volta s-e-r-v-e ad avvalorare qualcosa d’altro: in questo caso ad esempio appoggia sia ‘l’ipotesi rettiliana’ sia quella della (presunta) città di Rettiliani al di sotto di Los Angeles! In tutta la Rete però non c’è null’altro se non quelle due (solite) maledette righe…
Ne prendi atto, finché un pomeriggio ti metti a spulciare (in un lavoro che sembra non avere fine) ogni singolo testo sui Nativi Americani che campeggia nella tua libreria, facendo particolare attenzione ai libri sulle Leggende e sui Canti (non necessariamente hopi peraltro) e non trovi NULLA. Scrivi ad un tuo amico Hopi che vive dall’altra parte del pianeta e conosce molto bene le tradizioni ed il folklore del proprio Popolo che contribuisce a diffondere in giro per il mondo il quale ti risponde, quando gli chiedi informazioni su una Leggenda hopi che parli di Uomini Rettile, di non averne mai sentito parlare!
Morale: bisogna s-e-m-p-r-e prendere con le pinze le notizie che molto (forse troppo) facilmente reperiamo in Internet ricordando che chiunque può, in buona o cattiva fede, inserirle; lo può fare anche il più ignorante, disinformato o malintenzionato di noi: c’è chi inventa balle e le pubblica per puro divertimento, chi prende granchi colossali e li posta, chi copia e ricopia da altri siti e blog senza porsi domande e riflettere su che cosa stia scrivendo davvero, etc. Il punto è che la notizia (il dato) in rete non passa attraverso i filtri che deve invece superare un libro stampato (ne va del buon nome non solo dell’autore ma soprattutto dell’editore); l’anonimato garantito a chi pubblica nel Web invece permette di scrivere qualsiasi nefandezza senza perdere la faccia, permette di farsi beffa di chi legge o depistre, quindi d’ora in avanti alla domanda: “Uomini Rettile nelle Leggende degli Hopi?” possiamo rispondere tranquillamente: “No grazie!”, ma soprattutto ricordiamoci di verificare le fonti e la serietà del sito da cui traiamo il materiale.
P.s: in questo caso le fonti sono tutti i testi sulla Cultura dei Nativi Americani (in negativo) che NON riportano la Leggenda hopi sugli Uomini Rettile e tutti i siti e/o blog che invece (senza riportare alcuna fonte) continuano a riportare questa (falsa) leggenda. Ringrazio di cuore il mio amico Bo che gentilmente mi ha offerto la propria disponibilità per dissipare i miei dubbi.
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Molto spesso però accade di imbattersi in vere e proprie bufale: è l’innocente (?) caso della Leggenda Hopi sugli Uomini Rettile (serpenti e/o lucertole) che con due righe stringate (sempre le stesse) rimbalza da un sito all’altro senza la citazione di alcuna fonte (in cerca di credibilità: presto o tardi a forza di essere riportata, copiata ed incollata una storiella -rischia di o- finisce per essere ritenuta VERA! Anche (e soprattutto) perché qualche volta s-e-r-v-e ad avvalorare qualcosa d’altro: in questo caso ad esempio appoggia sia ‘l’ipotesi rettiliana’ sia quella della (presunta) città di Rettiliani al di sotto di Los Angeles! In tutta la Rete però non c’è null’altro se non quelle due (solite) maledette righe…
Ne prendi atto, finché un pomeriggio ti metti a spulciare (in un lavoro che sembra non avere fine) ogni singolo testo sui Nativi Americani che campeggia nella tua libreria, facendo particolare attenzione ai libri sulle Leggende e sui Canti (non necessariamente hopi peraltro) e non trovi NULLA. Scrivi ad un tuo amico Hopi che vive dall’altra parte del pianeta e conosce molto bene le tradizioni ed il folklore del proprio Popolo che contribuisce a diffondere in giro per il mondo il quale ti risponde, quando gli chiedi informazioni su una Leggenda hopi che parli di Uomini Rettile, di non averne mai sentito parlare!
Morale: bisogna s-e-m-p-r-e prendere con le pinze le notizie che molto (forse troppo) facilmente reperiamo in Internet ricordando che chiunque può, in buona o cattiva fede, inserirle; lo può fare anche il più ignorante, disinformato o malintenzionato di noi: c’è chi inventa balle e le pubblica per puro divertimento, chi prende granchi colossali e li posta, chi copia e ricopia da altri siti e blog senza porsi domande e riflettere su che cosa stia scrivendo davvero, etc. Il punto è che la notizia (il dato) in rete non passa attraverso i filtri che deve invece superare un libro stampato (ne va del buon nome non solo dell’autore ma soprattutto dell’editore); l’anonimato garantito a chi pubblica nel Web invece permette di scrivere qualsiasi nefandezza senza perdere la faccia, permette di farsi beffa di chi legge o depistre, quindi d’ora in avanti alla domanda: “Uomini Rettile nelle Leggende degli Hopi?” possiamo rispondere tranquillamente: “No grazie!”, ma soprattutto ricordiamoci di verificare le fonti e la serietà del sito da cui traiamo il materiale.
P.s: in questo caso le fonti sono tutti i testi sulla Cultura dei Nativi Americani (in negativo) che NON riportano la Leggenda hopi sugli Uomini Rettile e tutti i siti e/o blog che invece (senza riportare alcuna fonte) continuano a riportare questa (falsa) leggenda. Ringrazio di cuore il mio amico Bo che gentilmente mi ha offerto la propria disponibilità per dissipare i miei dubbi.
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domenica 17 agosto 2014
Quell’occasione mancata (e non fu neppure l’unica)
Il primo osso di dinosauro scoperto fu anche il primo ad essere (successivamente) smarrito: nel 1787 in New Jersey (USA) fu del tutto casualmente rinvenuto un grosso femore (probabilmente di adrosauro = grande dinosauro con becco d’anatra).
Al tempo nessuno aveva ancora sentito parlare di dinosauri: basti pensare che il termine fu coniato nel 1842. Va detto che i fossili di dinosauro sono conosciuti dall’uomo da tempo immemore e se in Europa li si considerava ossa di giganti (presumibilmente morti a causa del biblico diluvio) in Cina li si pensava appartenere ai draghi.
L’osso giunse nelle mani di un noto anatomista americano, Caspar Wistar che lo studiò e lo descrisse al convegno dell’American Philosophical Society of Philadelphia, senza purtroppo rendersi conto di quanto importante fosse quel pezzo.
Il dottor Wistar avrebbe potuto passare alla storia come lo scopritore dei dinosauri (e con anni d’anticipo rispetto alla loro ufficiale scoperta), invece ciò non accadde (ed egli dovette accontentarsi, si fa per dire, di passare alla storia comunque, ma in tono decisamente minore, solo grazie al botanico Thomas Nuttall che gli dedicò la splendida pianta di glicine che porta il suo nome, Wistaria sinensis).
Ad ogni modo l’osso venne dapprima dimenticato all’interno di un armadio e poi perduto (per sempre).
Le ossa di questi bestioni erano già state notate presso alcune tribù di Nativi Americani, se non altro perché non era difficile inciamparvi in certe zone: in epoca relativamente recente (1892) il paleontologo Edward Drinker Cope dopo aver trovato resti di questo tipo in un deposito del Cretacico in South Dakota, scrisse che presso i Sioux si raccontava che queste ossa fossero appartenute a creature, in possesso di poteri malefici, che abitavano sottoterra, esseri mostruosi fulminati dal Grande Spirito che avrebbe ucciso anche tutti coloro che si fossero avvicinati ad esse.
Caspar Wistar non fu l’unico a perdere l’opportunità di essere lo scopritore di questi antichissimi vertebrati, gli Americani ebbero più di un’occasione per acciuffare questo primato, eppure le bruciarono tutte: la famosa spedizione di Lewis e Clark (1806) che attraversò anche il Montana (dove successivamente i cacciatori di fossili avrebbero sguazzato tra le ossa di dinosauro, ma soprattutto dove Barnum Brown scoprì i primi scheletri di Tyrannosaurus rex, il più imponente carnivoro mai vissuto sul nostro pianeta) ne mancò una ed orme di fossili ed ossa rinvenute nel New England oltre ad alcuni altri importanti reperti ne rappresentano altrettante.
Fonti:
- Brisolo Bill, Breve storia di (quasi) tutto – Capire le cose non è mai stato così facile, Super Pocket 2012 (Titolo originale: A Short History of Near Everything, 2003)
- Buffetaut Eric, I dinosauri, TEN 1994 (Titolo originale: Les dinosaures, 1994)
- Wilford John N., L’Enigma dei Dinosauri, Mondadori-DeAgostini 1994 (Titolo originale: The Riddle of the Dinosaur, 1985)
Internet:
- http://it.wikipedia.org/wiki/Dinosauria
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Al tempo nessuno aveva ancora sentito parlare di dinosauri: basti pensare che il termine fu coniato nel 1842. Va detto che i fossili di dinosauro sono conosciuti dall’uomo da tempo immemore e se in Europa li si considerava ossa di giganti (presumibilmente morti a causa del biblico diluvio) in Cina li si pensava appartenere ai draghi.
L’osso giunse nelle mani di un noto anatomista americano, Caspar Wistar che lo studiò e lo descrisse al convegno dell’American Philosophical Society of Philadelphia, senza purtroppo rendersi conto di quanto importante fosse quel pezzo.
Il dottor Wistar avrebbe potuto passare alla storia come lo scopritore dei dinosauri (e con anni d’anticipo rispetto alla loro ufficiale scoperta), invece ciò non accadde (ed egli dovette accontentarsi, si fa per dire, di passare alla storia comunque, ma in tono decisamente minore, solo grazie al botanico Thomas Nuttall che gli dedicò la splendida pianta di glicine che porta il suo nome, Wistaria sinensis).
Ad ogni modo l’osso venne dapprima dimenticato all’interno di un armadio e poi perduto (per sempre).
Le ossa di questi bestioni erano già state notate presso alcune tribù di Nativi Americani, se non altro perché non era difficile inciamparvi in certe zone: in epoca relativamente recente (1892) il paleontologo Edward Drinker Cope dopo aver trovato resti di questo tipo in un deposito del Cretacico in South Dakota, scrisse che presso i Sioux si raccontava che queste ossa fossero appartenute a creature, in possesso di poteri malefici, che abitavano sottoterra, esseri mostruosi fulminati dal Grande Spirito che avrebbe ucciso anche tutti coloro che si fossero avvicinati ad esse.
Caspar Wistar non fu l’unico a perdere l’opportunità di essere lo scopritore di questi antichissimi vertebrati, gli Americani ebbero più di un’occasione per acciuffare questo primato, eppure le bruciarono tutte: la famosa spedizione di Lewis e Clark (1806) che attraversò anche il Montana (dove successivamente i cacciatori di fossili avrebbero sguazzato tra le ossa di dinosauro, ma soprattutto dove Barnum Brown scoprì i primi scheletri di Tyrannosaurus rex, il più imponente carnivoro mai vissuto sul nostro pianeta) ne mancò una ed orme di fossili ed ossa rinvenute nel New England oltre ad alcuni altri importanti reperti ne rappresentano altrettante.
Fonti:
- Brisolo Bill, Breve storia di (quasi) tutto – Capire le cose non è mai stato così facile, Super Pocket 2012 (Titolo originale: A Short History of Near Everything, 2003)
- Buffetaut Eric, I dinosauri, TEN 1994 (Titolo originale: Les dinosaures, 1994)
- Wilford John N., L’Enigma dei Dinosauri, Mondadori-DeAgostini 1994 (Titolo originale: The Riddle of the Dinosaur, 1985)
Internet:
- http://it.wikipedia.org/wiki/Dinosauria
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La visione (…della disfatta del generale Custer!)
Si racconta che quando il generale George Custer e il 7° Cavalleria erano in partenza alla volta del Montana contro i guerrieri Sioux, molti di coloro che andarono a salutarli ebbero (allucinazione collettiva?) la sensazione di vedere la maggior parte dei cavalieri prima come sospesi a mezz’aria tra terra e cielo e poi addirittura svanire nel nulla. Dopo un mese Custer e la maggior parte dei suoi uomini furono uccisi dagli Indiani nella nota battaglia di Little Bighorn (25 giugno 1876) che vide la vittoria schiacciante di Crazy Horse (Cavallo Pazzo) e di Sitting Bull (Toro Seduto). Si parlò di una sorta di visione premonitrice della catastrofica fine di quegli uomini e del loro generale!
Fonte:
-Beasant Pam, Misteri inspiegabili, AMZ editrice S.p.A., Milano 1989
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-Beasant Pam, Misteri inspiegabili, AMZ editrice S.p.A., Milano 1989
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sabato 9 agosto 2014
Moqui Stones
Le Moqui Stones sono pietre particolari formatesi tra i 130 e i 150 milioni di anni di anni fa, probabilmente in seguito all’impatto di un meterotite, alla base del Navajo Sandstone dove sono state trovate. La loro forma è grosso modo sferica, il loro colore bruno/nero rivela che la porzione esterna è di natura ferrosa, mentre all’interno sono costituite da arenaria rossa finissima. Sono state definite “Pietre dello Sciamano” in virtù delle capacità che vengono loro attribuite: ritenute potenti alleati nel cammino di crescita personale presso i Nativi Americani che le considerano anche importanti strumenti di guarigione. Per gli Indiani sono esseri viventi a tutti gli effetti provenienti da un’altra dimensione: le rispettano descrivendole come un prezioso dono per gli uomini dalla Madre Terra. Ne esistono di due distinti generi (vien da sé che si tratta soltanto di una diversificazione pratica, le pietre naturalmente non hanno alcun sesso, semplicemente in base alla diversa morfologia si può assegnare in questo modo a ciascuna di esse un’energia di tipo Yin e un’energia di tipo Yang) il maschio – di forma leggermente irregolare, un po’ schiacciata – e la femmina – decisamente più sferica -. Vanno adoperate in coppia. Si dice che ci si debba occupare di loro amorevolmente e non trascurarle mai: è necessario pulirle con delicatezza utilizzando uno spazzolino (senza mai bagnarle considerando sia la loro natura ferrosa sia che l’acqua potrebbe penetrare nell’interno sabbioso della pietra); se poste la notte sotto il cuscino permetterebbero di sognare situazioni piacevoli. La femmina va tenuta nella mano sinistra, il maschio nella destra. Possiedono, si dice, un’energia speciale che proverrebbe direttamente dalla terra: infondono benessere fisico e morale, assorbono le cosiddette negatività e proteggono ripristinando le energie del corpo e dell’aura rinnovando e purificando i campi energetici. La pietra maschile stimola, pare, la chiaroveggenza, la percezione di eventi lontani nel tempo e nello spazio e addirittura delle vite precedenti. Una leggenda Hopi dice che gli antenati defunti giocavano con le Moqui Stones nell’unica notte dell’anno in cui era concesso loro di ritornare sulla terra per mostrarsi ai vivi; quando alle prime luci dell’alba i morti dovevano abbandonare i loro cari per risalire in cielo lasciavano le pietre in dono come simbolo del loro stato di pace e serenità raggiunte.
Fonti:
-http://mystero.forumcommunity.net/?t=2114038
-notizie fornite dal venditore dove ho acquistato le mie Moqui Stones
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Il culto del cane presso i Nativi Americani
Anni or sono un archeologo americano rinvenne al di sotto del basamento di un edificio a Manhattan la tomba di un cane. La sepoltura risultò molto antica (databile a circa 3500 anni fa). Si trattava di una tumulazione di tutto rispetto: abilmente ornata con conchiglie e pietre di vario colore. Di quell’area si sa che fu abitata innanzitutto dagli indiani Delaware che le attribuirono il nome di ‘Mannahatta’ (=l’isola) e che in epoca relativamente recente (XVI secolo) vi si insediarono gli Algonchini; del resto i Delaware che chiamavano loro stessi ‘Lenni Lenape’ ossia ‘veri uomini’ rappresentavano un'ampia confederazione proprio di lingua algonchina che viveva dove c’è l’attuale Long Island. A proposito degli onori attribuiti (giustamente) dalle antiche popolazioni native americane ai cani, come testimonia questo importante ritrovamento archeologico, bisogna sottolineare che una tradizione analoga è tuttora perpetrata da una comunità dell’Oklahoma dove vengono celebrati funerali in pompa magna per i cani, in quanto preziosi guardiani della casa. Presso gli Indiani d’America (tutti) vige un profondo rispetto per tutte le creature viventi, quindi non stupisce la venerazione di alcune tribù per il cane, ma va detto che nei periodi di carestia in alcune zone dell’America del Nord i cani, soprattutto i cuccioli, venivano sacrificati a scopo alimentare.
Fonti:
-Settimana Enigmistica n° 62284 del 17/12/2011 “Spigolature”
-http://www.zavagli.it/TRIBUD.htm
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sabato 2 agosto 2014
Indiani Paiute contro giganti
Anche questa volta galeotto fu uno spezzone della trasmissione “Enigmi Alieni” perché in una puntata vennero mostrati tre teschi enormi conservati in uno stipetto di un museo nel Nevada, Stati Uniti, rinvenuti in una grotta nella regione abitata dagli indiani Paiute nelle cui leggende si parla di una lotta ingaggiata e vinta da questi ultimi contro i giganti: ho deciso di approfondire questo argomento e ho scoperto che in ogni luogo del mondo ci sono stati rinvenimenti di scheletri con ossa più grandi del normale attribuite a veri e propri giganti ma non tutte queste scoperte si possono definire autentiche, anzi, la posizione dell'archeologia ufficiale è di disapprovazione totale rispetto a questo argomento anche perché purtroppo sono state messe in piedi delle burle, prima fra tutte quella del gigante di Cardiff, che rischiano di ridicolizzare e ostacolare anche i lavori seri, e in rete è facile incappare in questo o quel fake. E' evidente che se gli studi dovessero confermare l'esistenza dei giganti sulla Terra sarebbe necessario riscrivere interi capitoli di storia sull'evoluzione umana.
NINNA NANNA
Coo-ah-coo,
piccola colomba,
coo-ah-coo.
Il vento culla piano
I nidi sui ramo del pino.
Il piccolo tuo nido
tra le mie braccia dondola.
Coo-ah-coo
Piccola colomba,
adesso dormi;
Coo-ah-coo.
(Paiute)
Gli Indiani Paiute
Paiute, nome dall’etimo incerto, forse riconducibile all’acqua, indica una popolazione nativa del Nord America composta dagli Indiani Chemevuevi, Paviotso, Walpai e Yahuskin e lo si deve ai conquistatori che chiamarono questi uomini Payuchi. I Paiute di famiglia linguistica uto-azteca inizialmente nomadi vivevano, riparandosi in capanne ad alveare, di caccia e di raccolta dei prodotti della terra: noci, pinoli, bacche, ghiande, semi e soprattutto radici, tanto da meritare il soprannome di “scavatori” (indiani Digger) in aridi territori che oggi corrispondono ad alcuni stati americani e precisamente: i Paiute del nord che si chiamavano in realtà Numa (= il popolo) abitavano nel Grande Bacino negli odierni Nevada, Oregon e nella parte della California a levante della Sierra Nevada, quelli del sud detti Nuwuvi (che vuol dire ugualmente il popolo) nella parte nord-occidentale dell’Arizona, in quella sud-orientale della California e nell’ovest dello Utah; i primi affini agli Shoshoni, i secondi agli Ute erano riuniti in piccoli gruppi o bande di circa dodici persone tra loro parenti e in certi casi potevano costituire accampamenti semipermanenti. I Paiute credevano che un’oscura forza invisibile detta buha risiedesse in ogni forma di vita e non: negli animali, nelle piante, nei fiumi, nelle pietre, negli astri e perfino nelle nuvole e che ciascuno di potersi mettere in contatto con l’essenza di questo elemento ricavandone protezione. Anche i Paiute dopo una strenue resistenza nei confronti dell’invasione e dell’oppressione da parte dei bianchi dovettero cedere e andare in riserva: celebre il loro capo Winnemucca che cercò in tutti i modi la pace con gli Europei, salvo ricredersi in seguito allo stupro di due donne della sua tribù. I Paiute rimasero comunque molto pacifici; esemplare la storia di Sarah Winnemucca che nacque presso i Paiute Paviotso del Nevada nel 1844: quattro anni prima suo nonno aveva guidato John Fremont, capitano inglese, nella perlustrazione del West, ma ciò non risparmiò la famiglia di Sarah cui nel 1860 uccisero madre e fratelli. La donna adoperò la vita per cercare di conciliare le esigenze della propria gente con le pretese degli invasori ostili che anziché integrarsi si imposero sui Nativi prepotentemente. Sarah Winnemucca autrice del libro Vita tra i Paiute morì a soli 47 anni. Tra il 1870 e il 1890, anno in cui venne purtroppo sancita col sangue l’emblematica fine della libertà dei Nativi Americani a Wounded Knee, gli Indiani versavano in condizioni difficili ammassati nelle riserve, vessati dal governo che intendeva vietare le pratiche religiose native; le visioni del profeta paiute Wovoca, della riserva di Pyramid Lake (Nevada) non uomo di guerra ma uomo di pace, che parlavano di sconfitta del viso pallido senza l’uso delle armi e confidavano nel ritorno dei defunti e dei bisonti uccisi dal nemico e in un rinnovamento del mondo furono accolte con entusiasmo: sostenevano dal punto di vista morale la popolazione e alimentavano quella voglia di rivolta per quanto pacifica, una sorta di ultima disperata guerra santa contro i bianchi alla base di un profondo sentimento condiviso dalle tribù nelle riserve in preda a una disarmante crisi spirituale; proprio quel sentimento sfocerà nella Ghost Dance (1888) una nuova religione che contraria alla guerra attingeva sia dalle credenze autoctone sia dai precetti cristiani in cui credevano i bianchi facendone un curioso miscuglio, e promuoveva la voglia di salvaguardare la cultura e le credenze degli Indiani d’America e l’unione spirituale delle tribù. La convinzione era quella che solo ripristinando gli antichi valori sarebbero stati restituiti loro la terra e i tempi buoni e i bianchi sarebbero stati annientati da un diluvio. Durante la danza rituale che non ebbe grande presa tra i Paiute, mentre si diffuse presso i Cheyenne e i Sioux ma non solo, venivano invocati gli spiriti degli antenati affinché riportassero ai Nativi abbondanza e tempi migliori ritornando in vita con i bisonti che erano stati uccisi: i partecipanti si esibivano in balli sfrenati fino a cadere in trance per entrare in contatto con i defunti e poter conoscere il futuro.
La Profezia della Danza degli Spettri
Tutti quanti dovremmo ballare in ogni luogo.
Fra poco, in primavera, arriverà il Grande Spirito.
Egli porterà cibo e i nostri morti ritorneranno
per vivere nuovamente: saranno giovani e forti.
(…) Quando sarà il momento, tutti noi saliremo
Sulla cima delle Montagne lontano dai bianchi.
I bianchi non potranno ferirci: una inondazione li
ucciderà tutti e poi le acque si tireranno indietro
e noi avremo di nuovo le nostre terre e avremo
cibo in abbondanza. (…) Gli Indiani che non danza-
no e che non credono a questa profezia diventeran-
no piccoli piccoli, altri diventeranno di legno e ver-
ranno bruciati.
(Wovoca, Paiute)
La leggenda dei Paiute e la caverna Lovelock
Una leggenda diffusasi nell’Ottocento e perpetuata dagli indiani Paiute del Nevada raccontava di una lotta ingaggiata dai loro antenati che vinsero una stirpe di giganti da loro chiamati SI-TE-CASH: gli Indiani avevano costretto a colpi di freccia questi strani nemici in una caverna cui diedero fuoco, così gli uomini straordinariamente alti perirono tutti. Quella che sembrava solo una favola, del 1911 trovò però un curioso riscontro nella realtà: quando un gruppo di contadini, intenzionati a raccogliere il guano di pipistrello che adoperavano come fertilizzante per la coltivazione dei loro campi, si spinse all’interno di una caverna a Lovelock, in Nevada, e si imbatté nelle tracce dello sterminio che consistevano nei resti mummificati di uomini alti quasi 2 metri e mezzo dai lunghi capelli rossi; questo particolare ha fatto collegare le spoglie della grotta di Lovelock a una possibile comunità vichinga, anche se appare improbabile che i Vichinghi si siano spinti fino lì: il Nevada, infatti è uno degli stati federati del sudovest degli Stati Uniti. L’intero Diciannovesimo secolo d’altronde è stato costellato dal ritrovamento di scheletri giganteschi nel Mildwest, nella Death Valley e in California, ma nella maggior parte dei casi le sepolture venivano ricoperte e dei corpi se ne perdeva traccia sotto il suolo, invece per quanto concerne i corpi scoperti a Lovelock di essi si è occupata una prestigiosa università: gli studiosi della Nevada Historical Society e dell’Università della California sostengono che la caverna sia stata frequentata già dal 1500 a.C. e che lo sarebbe stata fino a non molti anni prima dello sbarco dei bianchi. Nonostante gran parte dei reperti sia andata smarrita, oggi nel Museo di Winnemucca nella Humboldt County che dista un centinaio di chilometri dal sito di ritrovamento vengono conservati in un armadietto tre reperti di eccezionale importanza: si tratta dei teschi riconducibili al rinvenimento di scheletri di giganti, presumibilmente i protagonisti delle guerre contro gli antichi Paiute, nella caverna di Lovelock, da parte degli agricoltori in cerca di concime. I crani non sono in vetrina, probabilmente perché la loro esposizione ricorderebbe l’esistenza di una scoperta che rimette prepotentemente in discussione quelle poche o tante certezze che la Scienza ha raggiunto in merito all’evoluzione dell’essere umano o molto più semplicemente per una forma di rispetto nei confronti dei Nativi Americani, anche se non si capisce perché, se si pensa che i cadaveri siano di Indiani non vengano restituiti al Popolo cui appartengano per avere sepoltura e invece debbano rimanere al museo ma in uno stipetto chiuso.
RASSEGNAZIONE
Ho nuguli di frecce
Per il mio arco,
braccia forti
per la mia ascia,
occhio veloce,
un cuore duro e liscio
come un ciottolo di fiume.
Eppure basterà,
al falco della morte,
posare il suo sguardo su di me,
semplicemente.
La morte è fatta così.
(Paiute)
Le “testimonianze” scritte
I testi scritti più antichi mai rinvenuti sono le cosiddette Tavolette Sumere dell’Enuma Elish, esse descrivono nei minimi particolari la creazione dell’uomo da parte dei Nephilim, attraverso quella che noi uomini del ventunesimo secolo riconosciamo come una sorta di tecnica di ibridazione genetica. La prima citazione della presenza di giganti (da gegeneis= nati dalla terra) sul nostro pianeta è contenuta nel sesto capitolo della Genesi: i giganti in lingua ebraica nephilim. Questi colossi trovano un discreto spazio nell’Antico Testamento ( Numeri 13:33; Deuteronomio 1:28; Deuteronomio 2:10-11-20-21; Deuteronomio 3:11; Deuteronomio 9:2; Samuele I Libro 17:14 e Cronache I Libro 11:23): per esempio incontriamo Og, l’unico titano sopravvissuto al Diluvio Universale: egli era alto 4 metri per cui non trovò spazio nell’Arca di Noè ma riparò sul tetto della stessa e si salvò, e poi ci sono gli Anakiti di Ebron discendenti da Anak i cui figli Achiman, Sesai e Talmai spaventavano gli israeliti che cercavano di raggiungere la Terra Promessa; e da qui deduciamo che Golia non fosse un rappresentante isolato dei giganti. Il vocabolo nephilim trarrebbe, il dubitativo è d’obbligo perché alcuni studiosi lo escludono, la propria origine dalla radice del verbo ebraico nafàl che significa cadere il che ci conduce con la mente immediatamente al concetto di angeli caduti a iniziare da quel portatore di luce, Lucifero, che verrà identificato con il Diavolo (= ciò che separa) e quindi per estensione con il Male in lotta contro Dio che è il Bene Supremo, ma non tutti gli studiosi abbracciano questa teoria: alcuni seguaci di Zacharia Sitchin ad esempio colgono la sfumatura tra cadere e scendere e trasformano i nephilim in antichi visitatori alieni provenienti da altri mondi, comunemente viene tradotto in italiano con giganti, creature dalla statura eccezionale e dotate di incredibile forza fisica, esseri menzionati dalla Bibbia nella quale si approfondisce molto poco la loro storia e che nel nostro immaginario collettivo moderno vengono liquidati come creature fantastiche. La storicità della Bibbia è un argomento discusso e discutibile, libro sacro di fama mondiale è noto il proprio procedere per metafore a cominciare anche se avvenimenti quali il Diluvio Universale hanno trovato riscontro nella realtà e così sempre più frequentemente scienziati o semplici appassionati cercano di capire quando e quanto i miti narrati dalla Bibbia affondino le loro radici nella Storia. Se dei giganti avessero per una qualche ragione provato ad accoppiarsi con donne normali, ecco probabilmente a che cosa si riferirebbe il breve aneddoto in caratteri cuneiformi di Nippur: “la mia vagina è troppo stretta: l’accoppiamento è impossibile, le mie labbra sono minuscole, non riescono a baciare (…)”. Nella Mitologia greca i giganti figli di Gea (la Terra) e del sangue dei genitali di Urano (ferito da Crono) venivano descritti come esseri mostruosi, capelloni dalla barba irsuta, e invincibili che neppure gli dei potevano avere la meglio su di loro: di fatto erano esseri immortali, a meno che nella loro uccisione non avesse – e questo è curioso – preso parte un umano. L’iconografia classica ci restituisce creature dalle misure inimmaginabili, metà uomini e metà serpenti, con la coda e bardati con armature in bronzo, dotati di armi e macigni. Per lo più i giganti perirono fulminati in occasione della loro ribellione contro Zeus, spinti dalla loro madre, per liberare i Titani intrappolati nel Tartaro, altri invece furono vittima di monti e isole schiantati su di loro dagli dei furiosi, generando cataclismi e non solo: si racconta che la dea Atena scaraventò la Sicilia contro Encelado e che da quello scontro si formò l’Etna, vulcano attraverso cui il gigante respirerebbe ancora oggi; sotto il Vesuvio vivrebbe invece il gigante Mima. Del resto per gli antichi a quanto pare i giganti non si ritrovano solo nel Mito ma anche nella Letteratura, Polifemo è un gigante con un solo occhio, nato dalla fantasia di chi ritrovò crani di elefanti con un unico foro al centro quello per la proboscide, e nella Storia se l’illustre storico greco Erodoto (Storie 1-68) parla del rinvenimento di un gigante altro più di 3 metri, e in occasione di un suo viaggio in Egitto relaziona sulle tombe dei “pironi”, una stirpe di giganti. Una leggenda che ci giunge dall’Egitto racconta che i giganti che avevano mosso guerra contro gli uomini finirono con l’andare a colonizzare altri luoghi non prima di essersi trasformati in animali. I Pigmei del Gabon hanno la leggenda di un orribile gigante a tre teste di nome Dzom. Anche nei miti e nelle storie dei Lotuko dell’Uganda ci sono uomini già giganteschi che poi scomparvero dalla faccia della terra perché uno di loro aveva osato offendere un capo tribù la cui maledizione li eliminò. I giganti della Mitologia del Nord Europa erano dichiaratamente schierati contro le divinità anche se una corrente di pensiero diversa, ce li tramanda ad esse imparentati. Vivevano a Jotunheim; i Vichinghi che dominarono la Scandinavia tra la fine dell’VIII e l’XI secolo nei loro miti annoveravano il Regno del Gigante del ghiaccio, Niflheim, termine che per assonanza richiama i nefilim ebraici. In Germania esiste una gradevole leggenda di cui è protagonista il genio del monte dei giganti di aiuto ai pellegrini e dispettoso con i male intenzionati; inoltre c’è la vicenda del gigante Tannchel che fece esplodere le rocce permettendo alle acque del Reno di defluire liberamente; si deve infine all’impegno dell’imperatore Massimiliano la sconfitta dell’ultimo gigante. Presso gli Inca, invece, è il creatore del tempo e dello spazio Viracocha, affiorando dalle acque del lago Titicaca a creare una famiglia di ingrati giganti che lui stesso affogò mandando un potente diluvio: i giganti morti mutarono in rocce tuttora visibili. Lo storico Fernando da Alba vissuto ai tempi dell’assalto al Nuovo Mondo da parte degli Spagnoli scriveva poi che in Messico facilmente si poteva incappare in scheletri di uomini giganteschi. Un indio Choluta dello Yucatan ad esempio asserì, come si evince dal “Manoscritto Messicano” redatto da Pedro de los Rios conservato in Vaticano, che prima del Diluvio (Apachihuiliztli) 4000 anni prima della Creazione del Mondo il paese di Anahuac era abitato da uomini giganti detti Tzocuillixeo e che quelli di loro che non morirono mutarono in pesci. Per gli Induisti esistono esseri demoniaci e giganteschi che si chiamano Daitays. In Thailandia si pensava che gli uomini primitivi fossero giganti. Presso i Maori della Nuova Zelanda c’era una suddivisione netta tra gli uomini giganti del cielo detti Rangi e quelli della terra detti Papa. Quasi ogni Popolo antico dichiarò l’esistenza di esseri giganteschi, d’altra parte in qualche modo i nostri antenati dovevano dare una spiegazione dei Megaliti e delle mura ciclopiche che qualcuno aveva prima di loro eretto sulla terra, inoltre i fossili che oggi sappiamo essere di dinosauro, un tempo, quando i dinosauri erano di fatto sconosciuti, venivano attribuiti ai draghi: troppo spesso noi sottovalutiamo la fantasia dei nostri antenati che potrebbero semplicemente averli inventati per spiegare l’inspiegabile.
”C’erano sulla terra i giganti a quei tempi - e anche dopo -
Quando i figli di Dio si univano alle figlie degli uomini e queste
partorivano loro dei figli: sono questi gli eroi famosi dell’anti-
chità, uomini famosi.”
Genesi 6:4
Ritrovamenti scheletrici
Sarebbero state rintracciate tombe di uomini giganteschi in tutti gli angoli del globo: Marcel Griaule e Jean Paul Lebeuf nel 1936 rinvennero nell’odierno Ciad una sepoltura di individui dalle dimensioni fuori dal normale. Recentemente in Africa centrale un altro team di archeologi accreditati scoprì un misterioso sepolcro composto da una quarantina di fosse comuni che ospitavano circa duecento scheletri di individui alti fino a 7 metri! Anche le mummie egizie ci hanno riservato sorprese interessanti in proposito: a Saqqara, infatti, è stato rinvenuto un corpo mummificato di un uomo alto 2 metri e mezzo, un gigante la cui età stimata è di circa 4 mila anni, privo di orecchie, di naso e di lingua, caratterizzato da una enorme bocca. In Tunisia, a Chenini, sono state aperte tombe contenenti scheletri di uomini alti 3 metri. Negli Stati Uniti, Al MT. Blanco Fossil Museum, è custodito un femore umano di esagerata lunghezza proveniente dalla Mesopotamia: i calcoli che sono stati effettuati in base al solo osso della coscia rinvenuto, hanno portato gli studiosi a concludere che l’individuo cui era appartenuto l’osso dovesse avere una altezza approssimativa di 5 metri. I reperti americani sono piuttosto numerosi come già accennato e non si limitano al Nevada: la prima testimonianza del rinvenimento di scheletri umani di dimensioni esageratamente grandi negli USA risale alla fini del 1700 quando ad Hannover, un piccolo centro nella contea di York in Pennsylvania, vennero scovati un paio di scheletri umani della lunghezza di circa 3 metri e trenta ciascuno. Del 1810 è il ritrovamento del 1810 dello scheletro di un gigante con sei dita dei piedi. La terza notizia relativa a questi temi possiamo rintracciarla in un pezzo del New York Times del 21 novembre 1856: trattavasi di uno scheletro umano non ben conservato lungo 3 metri e trenta e trovato sotto la vigna di uno sceriffo in Ohio. Alla fine del 1868 nel corso dei lavori per l’edificazione di una diga sul Mississippi un team di operai notò fossilizzato in una roccia di granito lo scheletro di un essere umano gigantesco alto quasi 3 metri e mezzo con la circonferenza cranica pari a 78 centimetri. Nel 1870 gli Indiani della tribù Omaha disseppellirono i resti di uomini dalla statura eccezionale. Altri operai, questa volta impegnati nella costruzione di un tratto di ferrovia a Petersburg in Virginia, rinvennero, la notizia è ancora una volta data dal New York Times (8 settembre 1871) una serie di scheletri in un primo momento ritenuti di Nativi Americani anche se le smisurate dimensioni degli arti fecero storcere il naso a molti. Un articolo del New York Times del 25 maggio 1882 dà cronaca del rinvenimento di uno scheletro gigantesco in Minnesota venuto alla luce nei dintorni della Red River Valley ampiamente studiato dall’Historical Society. In Arizona a Crittenden nel 1891 fu disseppellito un grosso sarcofago dove avrebbe dovuto dormire il proprio sonno eterno un gigante di 3 metri con 6 per arto; altri due casi sono stati registrati in California: il primo riguarda un cranio di grandi dimensioni ripescato nel canale di Santa Barbara nei pressi dell’Isola di Santa Rosa, il secondo è il rinvenimento a Lampock Ranch di un corpo gigantesco intero ritrovato dai soldati: per non offendere la sensibilità dei Nativi, che lo ritenevano un loro dio, un frate intimò ai soldati di ridare sepoltura alle povere ossa. Nel Nuovo Messico, una terra affascinante e misteriosa: nel 1902 anche qui un team di archeologi rinvenne i resti di esseri umani molto alti (circa 3 metri e 60 centimetri). Le leggende degli Indiani d’America del Nuovo Messico orientale parlano di una razza di giganti che anticamente dominava questi luoghi e questa tradizione orale è stata assimilata dai primi invasori Spagnoli della regione che la fecero loro. Infine, premesso che nella preistoria americana è esistita una cultura chiamata Woodland che avrebbe abitato nel primo millennio a.C. il Nuovo Mondo e così, quando nel Winsconsin meridionale nei pressi del lago Dalavan, siamo nel 1912, uno staff di archeologi accreditati del Beloit College, prestigioso college privato fondato nel 1846 effettuò uno scavo e incappò in una numerosa serie di tumuli, la scoperta fu evidentemente ricondotta a quegli antichissimi uomini: tombe di abitanti preistorici delle Americhe, salvo che diciotto scheletri umani presentavano dimensioni abnormi e il teschio allungato in maniera anomala; la notizia, di quelle che possono cambiare i libri di storia, trapelò e fu pubblicata dal New York Times del 4 maggio 1912. La pratica di allungare il cranio è in realtà comune a molti Popoli tra cui gli Aztechi e gli Egizi, ma la dolicocefalia (dal greco kephalé = cranio e dolichos = allungato) può essere non solo indotta ma anche congenita. In realtà nel Winsconsin esiste un illustre precedente in materia: infatti già nel 1897 lo stesso New York Times aveva dato spazio tra le sue pagine alla notizia della scoperta di uomini giganti a Maple Creek dove una delle tre colline funerarie scoperte fu aperta rivelando al proprio interno lo scheletro di un essere umano alto 3 metri assolutamente ben conservato. Una quarantina di anni fa in Messico furono riportati alla luce un paio di scheletri giganti. In mare, a 270 chilometri da Santiago del Cile nel 1970 fu ripescato un corpo umano ischeletrito lungo 2 metri e 38 centimetri. Denti enormi sono stati rinvenuti in Perù. Cortes in persona vide ossa di uomini giganti e spedì in Castiglia un femore lunghissimo. Pochi anni fa don Carlos Vaca permise agli studiosi di analizzare una serie di reperti ossei giganteschi, fra cui un dente molare umano di dimensioni spropositate che raccolse durante la sua missione in Ecuador. A Tura, nell'Assam in Pakistan occidentale, Asia meridionale fu scoperto uno scheletro umano alto 3 metri e 35 centimetri. Anche l’isola di Ceylon non è immune da questo tipo di ritrovamento, infatti sono stati recuperati qui scheletri o parti di essi appartenenti a uomini che raggiungevano i 4 metri di altezza. La Cina sud-orientale ci ha restituito ossa umane di uomini alti più di 3 metri. Nella Cina meridionale è stato trovato quello che fu ribattezzato “il gigante della Cina meridionale” oltre a una serie di denti grandi sei volte più dei nostri definiti denti di drago: in particolare tre denti fossili trovati in alcune farmacie di Hong Kong inizialmente attribuiti a grosse scimmie, in realtà sarebbero di natura umana e sarebbero appartenute a uomini alti più di 3 metri. Giava risponde con il “gigante di Giava”, infatti è del il ritrovamento di una mascella inferiore che apparteneva ad un essere umano la cui altezza sicuramente sfiorava i 3.50 metri.In Tibet, Sven Hedin, probabilmente durante l’infruttuosa ricerca della mitica Agarthi, asserì di essersi imbattuto in enormi mummie sepolte in luoghi inaccessibili. In Italia vogliamo ricordare il caso del canonico Giovan Battista (XVI-XVII sec.) il quale trovò in una chiesa di Vercelli un dente enorme detto dente di San Cristoforo (che potrebbe essere il dente di un grosso mammifero) e studiò i giganti di Saletta, mentre pare che attraverso una grata, in una chiesetta nel bresciano, si possano intravvedere ossa appartenute a uomini giganti che riposano nella cripta, invece è nella provincia di Catanzaro che si trova la cittadella di Tiriolo dove nel 1663 a seguito di lavori di scavo e restauro emerse dal sottosuolo una tomba contenente il corpo di un individuo gigantesco. Il caso aperto dei giganti in Sardegna: se davvero sono stati trovati scheletri di giganti in Sardegna non è dato saperlo: al momento non ci sono prove a sostegno di questa che è destinata, salvo clamorosi rinvenimenti, una ipotesi anche se si dice che gli scheletri giganti scoperti nell’isola furono in seguito occultati ad arte. Ossa enormi riconducibili a un essere umano presumibilmente alto quasi 6 metri sarebbero state recuperate nel 1577 a Willisau, Lucerna. Nel 1925 in Francia a Glozel furono trovate ossa gigantesche ornate da monili. In Inghilterra, le cronache riportano la notizia della riesumazione di un soldato che in vita sarebbe stato alto 2 metri e 80 centimetri, del resto il magico santuario megalitico di Stonehenge che ho avuto la fortuna di visitare insieme al mio papà molti anni fa, nella piana di Salisbury, viene anche ritenuto la sede ideale della “danza dei giganti”. Risale invece al 1895 il rinvenimento in una miniera nella contea di Antrim in Irlanda da parte di un certo signor Dyer di un gigante fossile altro 3 metri e 70 centimetri con sei dita in luogo di cinque nel piede destro.
Orme e utensili fuori misura
A Glozel in Francia oltre ai resti di uomini giganti si possono ammirare le orme di mani molto grandi e antichissime oltre a utensili. E’ di solo cinque anni fa la scoperta da attribuirsi a scienziati della Oxford University che in mezzo a una serie di manufatti “normali” scovarono nel lago Makgadikgadi, oramai secco, nel Deserto del Kalahari (Botswana) una serie di asce enormi e talmente pesanti da poter essere usate in battaglia da genti che avevano una altezza di 3 metri come minimo. Nei sedimenti del lago di Ol Dway nell’Africa meridionale esisterebbero tracce di impronte fossili di natura umana ma molto grandi formatisi grazie alla fanghiglia pietrificata. Anche nell’ Australia sud-orientale ci sono impronte lasciate su fango in seguito pietrificato che sono state notate dal paleontologo Rex Gibroy, anch’esse, sia di mani sia di piedi, rientrano nella categoria di impronte umane dalle dimensioni esagerate riguardante fossili di giganti: solo le dita dei piedi misuravano 18,5 cm, mentre la mano dal polso all'estremità del medio era di 28 cm. Ad Agadir, in Marocco è stato scoperto un armamentario incredibile, lance e armi più antichi attrezzi che potevano essere adoperati soltanto solo da uomini giganti alti non meno di 4,50 metri. A Braystown in Tennesse, negli Anni Dieci del Ottocento furono notate impronte di piedi umani con sei dita. Infine nella Cina sudorientale furono rinvenuti utensili enormi utilizzabili da esseri umani di almeno 4 metri di altezza. Nel letto del fiume Paluxi in Texas (Stati Uniti) sono state misurate impronte lunghe più di mezzo metro e larghe una dozzina di centimetri unite a quelle di dinosauri il tutto risalente a 140 milioni di anni fa.
La roccia di Judaculla
Un antico mito Cherokee appreso e poi reso noto dall’etnologo James Mooney sul finire dell’Ottocento voleva che gli strani petroglifi incisi su questa roccia, esaminata da molti studiosi, fossero opera di un gigante con gli occhi a mandorla di nome Judaculla: il gigante chiamato anche Tsulkalu viveva sulle montagne e controllava il Tempo. La Roccia di Judaculla si trova in un sito un tempo sacro per i Nativi Americani ai piedi di una montagna ricca di minerali in Carolina del Nord a Tuckasegee e rappresenta uno dei più interessanti misteri archeologici degli Stati Uniti orientali: si presenta come una grossa pietra completamente ricoperta da incisioni rupestri talmente numerose che non è facile distinguere un simbolo dall’altro, i disegni infatti si intersecano l’uno con gli altri da rendere difficoltoso l’isolamento di un singolo geroglifico. Una delle forme più curiose è quella che richiama una mano con sette dita, ma ci sono delle figurine umane in diverse posizioni e alcuni animali, come una piovra. Gli scienziati non sono ancora riusciti a interpretare il significato di quella che potrebbe essere la lingua di uomini, forse giganti, vissuti in queste regioni dai 3000 ai 10000 anni fa e neppure ad azzardare un’ipotesi sul significato globale dell’opera che ricorda una mappa o che molto più probabilmente ricopriva un ruolo spirituale e rituale. Qualcuno pensa che la roccia sia stata trasportata lì da un altro luogo perché nella regione non esistono altri massi con disegni simili, ad ora comunque non sono state trovate altre rocce con caratteri analoghi neppure altrove, benché qualcuno sostenga l’ipotesi dell’esistenza di almeno altre due pietre come questa, una delle quali sarebbe stata sepolta e l’altra non ancora trovata. Ci sarebbe il modo di ricavare altre informazioni scavando nel sito della roccia, di certo oggi si sa soltanto che il masso si trova in quella posizione fin dal tempo in cui i Cherokee si sono stabiliti nella Carolina del Nord. Presso gli Indiani d’America prima dell’arrivo dell’uomo bianco non c’era traccia di scrittura; frequenti in altre zone degli attuali USA erano i petroglifi: disegni sulle pareti di roccia che raffiguravano animali, uomini, cose e situazioni. Proprio tra i Cherokee fu inventato da George Guess (Sequoyah) un uomo umile che viveva in una zona isolata nel 1821 un alfabeto scritto formato da ben 86 caratteri e a partire dal 1828 il Cherokee Phoenix, diretto fa Elias Budinott, fu bilingue: un giornale in cherokee e in inglese.
Una burla di cui avremmo voluto fare a meno
Il gigante di Cardiff detto il Golia americano fu un triste esempio di falso in materia di giganti, di quelli che fanno passare la voglia di svolgere ricerche perché tendono a togliere credibilità anche a chi si avvicina a questi argomenti in buona fede e con tanta voglia di capire come stiano veramente le cose: il fake è un ostacolo, intralcia i lavori e complica lo studio, ma non invalida le ricerche effettuate con onestà e serietà. In questo caso si tratta di una enorme figura scolpita nella roccia che il coltivatore di tabacco il signor George Hull di Syracuse (New York) creò, sotterrò nel proprio terreno e poi finse di scoprire casualmente nel 1869 , il falso che gli rese lauti guadagni è comunque conservato in un museo newyorkese.
Conclusione
Chissà se i giganti appartengono soltanto al mito? E' possibile che in un determinato periodo siano vissuti sulla terra dei giganti? La domanda è lecita: infondo ci sono stati animali enormi come i dinosauri che hanno calcato questo pianeta, ma 3 metri e più di altezza comporterebbero per l’essere umano problemi di sopravvivenza per esempio circolatori o legati all’alimentazione, anche se grossi mammiferi come orsi e gorilla godono di ottima salute. Il famoso CICAP si è pronunciato ad esempio su una famosa foto che circola in rete sapientemente modificata per un concorso fotografico e che molti hanno scambiato per vera generando una leggende metropolitane che hanno valicato i confini del web. La domanda è: come mai di queste scoperte nessuno o quasi nessuno sa qualcosa? Perché le pubblicazioni scientifiche tacciono queste scoperte? Si tratta solo di falsi scoop dovute alla mancanza di notizie reali? E’ vero che la Smithsonian Institution, prestigiosa fondazione cui fanno riferimento parecchi enti culturali americani acquistò per 500 dollari uno scheletro di 2 metri e 80 centimetri presumibilmente riconducibile ai cosiddetti costruttori di tumuli vissuti in Nord America circa 5000 anni fa? Se sì, potrebbe averlo fatto con l’unico scopo di toglierlo dalla circolazione? Perché i musei del mondo non espongono questi straordinari, ma visto il vasto numero dei ritrovamenti verrebbe da scrivere piuttosto, comuni reperti? Il ricercatore indipendente James Vieira si è occupato di queste questioni per un ventennio, raccogliendo molto materiale e si è fatto un’idea precisa circa l’occultamento sistematico dei resti di giganti: secondo lo studioso vi è la necessità di preservare la validità della teoria dell’evoluzione di Darwin, io non credo, perché è stata più volte messa in discussione, però è l’unica ad oggi che illustri in maniera lineare, perciò molto comoda, il cammino dell’evoluzione della vita a partire da strutture semplici a strutture sempre più complicate. I giganti, viene da chiedersi, sono una specie inventata o sono realmente esistiti? E se sono realmente esistiti sono una specie a sé o una razza umana? Speculazioni a mio avviso pseudostoriche collegano l’esistenza dei giganti agli abitanti di Atlantide, per i teorici degli antichi astronauti invece la spiegazione andrebbe cercata nello spazio. Molto più semplicemente è probabile che si tratti soltanto di persone che erano affette da una patologia nota come gigantismo causata da un'eccessiva esposizione dell'organismo all'ormone somatotropo, meglio noto come ormone della crescita, che si verifica durante l'età pre-puberale dovuto nella maggioranza dei casi a un tumore dell’ipofisi. Un malato di gigantismo nell'età adulta può raggiungere anche altezze comprese tra i 240–270 cm.: la persona, a memoria d’uomo, più alta mai esistita dovrebbe essere il signor Robert P. Wadlow (2.72 metri) mentre attualmente l’uomo più alto del mondo dovrebbe essere l’ucraino Leonid Stadnyk (2.39); anche se bisogna sottolineare che questa patologia non giustifica comunque altezze che sfiorano i 3 metri e che addirittura li superino; sarebbe opportuno capire se, nel caso della scoperta delle necropoli di giganti, la misurazione dei cadaveri sia stata effettuata sempre misurando ogni osso, o l’intero corpo ma senza farsi trarre in inganno dalla disposizione del cadavere nella tomba: un conto è che le ossa siano attaccate le une alle altre tramite giunture come nel vivente, un conto è che le ossa siano tra loro staccate e le spoglie misurate in loco perché in questo secondo caso la lunghezza del corpo potrebbe risultare maggiore rispetto alla reale altezza della persona in vita.
Fonti bibliografiche:
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-Benetti Simone, Le Carte Divinatorie degli Indiani d’America, De Vecchi, nuova edizione 2006
-Brown Dee, Seppellite il mio cuore a Wounded Knee, Oscar Mondadori, ristampa 2013 (Titolo originale: Bury My Heart at Wounded Knee)
-Centini Massimo, L’animismo, Xenia Tascabili, 2005
-Cerretti Franco, Dizionario del West, la grande avventura americana, Domino A.Vallardi, 1997
-Cocchiara Giuseppe e Cipolla Francesco, Mitologia, Palumbo
-Colonna Barbara, Dizionario Mitologico, divinità, eroine ed eroi, re e regine, satiri e ninfe, muse, giganti, mostri, oracoli e sibille, Rusconi Libri, Roma 2006
-Comba Enrico, a cura di, Riti e Misteri degli Indiani d’America, Utet 2003
-Corrales Angel M., Chi guida gli Ufo, Angel M. Corrales, Hobby & Work Italiana Editrice S.r.l., Milano 1993
-Dizionario illustrato di Mitologia greca e romana, i miti, gli eroi, gli dei, le leggende, i luoghi mitologici del mondo greco e romano, Crescere Edizioni 2012
-Grant Michael e Hazel John, Dizionario della Mitologia Classica, Euroclub su licenza SugarCo Edizioni, 1988 (Titolo originale: Who’s Who in classical Mythology, 1979)
-Hamilton Charles, Sul sentiero di guerra, scritti e testimonianze degli Indiani d’America, Loescher Editore, 1978 -edizione scolastica (Titolo originale: Cry of the Thunderbird)
-Jacquin Philippe, I Pellerossa, popolo delle praterie, Universale Electa/Gallimard 1993 (Titolo originale: La Terre des Peaux-Rouges)
-La Sacra Bibbia, edizione ufficiale della CEI, Conferenza Episcopale Italiana, Roma 1974
-La Settimana Enigmistica n°3979
-Mayorca Stefano, Cronache dal mistero, avvenimenti inspiegabili, civiltà oscure, scienze arcane, enigmi, miti e leggende, De Vecchi Editore, Milano 2005
-Pedrotti Walter, Dal Popolo degli Uomini, canti, miti, narrazioni, preghiere degli Indiani del Nordamerica, Demetra 1998
-Philip Neil, Mitologia del Mondo, Dix Editore, 2011 (Titolo originale: Mythologhy of the World, 2004)
-Pictet Jean, L’epopea dei pellirosse, volume II, Mursia 1992 (Titolo originale: L’épopèe desPeaux-Rouges, 1988)
-49 Canti degli Indiani d’America tradotti da Giuseppe Strazzeri, Arnoldo Mondadori Editore, Milano 1997
-Siegfrid Augustin, Storia degli Indiani d’America, Odaya 2009 (Titolo originale: Die Geschichter der Indianer, 1995)
-Snow Dean, Gli Indiani d’America: archeologia e civiltà, 1979 (Titolo originale: The American Indians. Their Archaeology and Prehistory, 1976 )
-Stotter Michael, Indiani del Nord America, Edizioni White Star, 2006 (Titolo originale: Ste pinto the World of North American Indians)
-Wood Marion, Miti e Civiltà dei Pellerossa, Istituto Geografico De Agostini, Cremona 1998
Internet:
-http://ilnavigatorecurioso.myblog.it/2013/07/05/il-segreto-dei-diciotto-scheletri-giganti-del-winsconsin/
-http://hbtb.forumcommunity.net/?t=44082885
-http://networkedblogs.com/PZsmE
-http://swdm.altervista.org/indians/c/paiute.html
-http://uominigiganti.ilcannocchiale.it/?id_blogdoc=1674223
-http://www.ilnavigatorecurioso.it/2013/11/02/la-roccia-di-judaculla-storie-di-antichi-giganti-e-di-codici-preistorici---indecifrabili-2/
-http://www.massimopolidoro.com/misteri/quei-misteriosi-giganti-di-sardegna.html
-http://www.treccani.it/enciclopedia/paiute/
Tv:
“Mysterious Places, Ancient Aliens” S02E01
Questo e altri art. si possono leggere nel mio Blog: http://clubdelmistero.altervista.org/
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Lo strano caso delle mummie egizie nel Grand Canyon
Il Grand Canyon rappresenta uno straordinario portento della natura nordamericana: ampio dai 6,5 ai 28,5 km, profondo fino a 1600 m, si estende lungo il Grand Canyon National Park per 349 km. È letteralmente un trionfo di colori grazie ai giochi di luce ed ombra e alle rocce di arenaria, calcare e scisto, uno spettacolo impressionante di strapiombi da togliere il fiato, di magnifici picchi e suggestivi panorami unici al mondo che lo rendono un' incredibile meraviglia della natura; la flora della zona è caratterizzata da magnifiche opuntie dai cui frutti i Nativi Americani hanno sempre ricavato ottime marmellate e sciroppi; ma forse conserva un segreto ancor più sorprendente della vista e dell'atmosfera che offre: sul "Phoenix Gazette" del lontano 5 aprile 1909 infatti comparve un articolo anonimo dai risvolti alquanto singolari, perché trattava della scoperta di un immenso sistema di grotte contenente quella che, se dimostrata, avrebbe potuto rivelarsi una delle scoperte archeologiche più sconvolgenti del secolo scorso, una necropoli egizia autentica!
Il mio pensiero è stato, leggendo le prime righe del capitolo 14° di "Archeologia Misterica" di Luc Bürgin, che qualcuno, trafugati i sarcofagi in Egitto in epoca decisamente recente molto prossima alla data della scoperta stessa della regione, li avesse trasportati via mare negli USA trovando il modo di occultarli nel Grand Canyon, ma in che modo e quando? A onor del vero l'ipotesi più accreditata è un'altra: vale a dire che si tratti di una colossale bufala, poiché nel momento in cui c’era penuria di notizie reali, nell’America a cavallo tra il XIX e il XX secolo, nelle redazioni non si facevano scrupoli a inventare notizie di sana pianta che andavano sotto il nome di Hoax (burla giornalistica).
Formatosi nell'arco di sei milioni di anni grazie all'erosione del fiume Colorado che ne decise la profondità, il Grand Canyon deve la sua larghezza e la sua costituzione anche al contributo di altri agenti quali il vento, il calcare, le piogge e il ghiaccio. Per quanto il paesaggio possa sembrare quasi inospitale e del tutto invivibile, l'uomo vi si insediò già 12000 anni fa.
Il Grand Canyon è diventato ambita meta turistica nell'ultimo secolo: oggi è visitato da quasi cinque milioni di persone ogni anno.
L'archeologia ufficiale ha riportato alla luce e catalogato reperti del 10000 a.C. attribuiti alla civiltà dei Clovis.
I Clovis
Quella dei Clovis fu una tribù di cacciatori che comparve nell'America Settentrionale tra il 10000 e il 9200 a.C. come attestano le prove al radiocarbonio. Presumibilmente provenienti dalle regioni siberiane, i Clovis si espansero nell'intero continente americano dove vissero per circa due millenni.
Nel 1932 Edgar Howard dell'Università della Pennsylvania trovò alcune punte di lancia molto antiche e un mammut sulle sponde del lago a Clovis nel Nuovo Messico, cinque anni prima sempre nel Nuovo Messico, ma questa volta a Folsom, era stata rinvenuta una serie di punte di lancia in pietra nella carcassa di un antenato di bisonte che si estinse prima della fine dell'ultima era glaciale. Nel 1949 a Clovis furono ritrovati altri reperti simili a quelli di Folsom. Si concluse che i cacciatori di Clovis fossero precedenti a quelli di Folsom.
La "Ghost Dance"
Sia gli Havasu-pai sia gli Huala-pai
parteciparono alla danza dei fantasmi:
in preda a una profonda crisi religiosa,
sul finire dell'Ottocento i Nativi Americani
in trance invocavano la cacciata dell'uomo
bianco dalla loro terra.
I Pueblo Ancestrali (o Anasazi)
Intorno al 1000 a.C. in queste zone si era diffusa l'agricoltura: granoturco, zucca e fagioli modificarono gradatamente il regime alimentare dei cacciatori nomadi e semi-nomadi del Grand Canyon e così cominciarono a sorgere i primi villaggi che gli Spagnoli battezzeranno pueblos.
Già nel 700 d.C. il Grand Canyon era abitato dal misterioso popolo degli Anasazi (termine che in Navajo significava originariamente "antichi" poi tradotto con "nemici") nome cui in larga misura, oggi, si preferisce il nome di Pueblo Ancestrali.
I Pueblo Ancestrali costruirono nel 1000 d.C. ca. a Mesa Verde (Colorado) e a Chaco Canyon (Nuovo Messico) meravigliose città e oltre 300 chilometri di strade assolutamente perfette che per costruirle uguali oggi ci si dovrebbe avvalere di una tecnologia di tipo satellitare. A Mesa Verde, la cittadella scavata nella roccia presenta duecento casette di una sola stanza e quasi quaranta kiwas (stanze circolari, leggermente interrate, per i rituali segreti, in origine ricoperte da un tetto, con un buco nel pavimento: il sipapu da cui, secondo queste genti, fuoriusciva l’energia della terra. Altri Pueblo danno al sipapu un diverso significato).
I Pueblo Ancestrali del Grand Canyon erano divisi in:
- Kayenta (che vivevano ad est e nelle aree centrali del canyon);
- Cohonina (secondo le testimonianze archeologiche di cui disponiamo, questi uomini che invece abitavano ad ovest ed erano forti consumatori di agave selvatica fritta ad uso alimentare, sarebbero stati i primi ad occupare l’Havasu Canyon tra il 700 e il 1100 d.C. sostituiti circa duecento anni dopo dai Cerbat o Pai);
- Paiute (stanziati all'estremità occidentale del Nord Rim);
- Pai o Cerbat (che presero il posto degli Cohonina nell'ovest). Dai Pai o Cerbat discesero a loro volta:
Havasu-pai
Il nome Havasu-pai vuol dire "popolo dell'acqua verde-blu": percorrendo il sentiero che porta alla loro Riserva si possono ammirare le straordinarie acque color turchese delle cascate occultate nel profondo del Canyon. Semi-nomadi ebbero rapporti con gli Indiani Hopi e con gli Indiani Zuni che insegnarono loro ad allevare il bestiame e a coltivare la terra. Il primo europeo che li incontrò nel 1776 - nel corso di quella spedizione che vide la fondazione della città di San Francisco - fu il missionario padre Francisco Tomas Garces che i Nativi celebrarono addirittura con cinque giorni consecutivi di feste e danze.
Gli Havasu-pai non parteciparono alla Guerra degli Huala-pai (1865-1869) e seppero scendere a compromessi con il Governo, accettando di vivere in una minuscola area che sfruttarono fino a esaurirla, ma non smisero di chiedere a gran voce di potersi allargare. Nel 1968, le loro richieste furono esaudite: arrivò un risarcimento di 1,24 milioni di dollari per le terre loro sottratte e sette anni dopo ottennero di poter aggiungere 81.000 ettari alla loro riserva più l'uso di 38.500 ettari dentro il parco a patto che restasse incontaminato: la più grande concessione di terreno degli Stati Uniti ai Nativi.
Huala-pai
Il loro nome significa "popolo degli alti pini", perché provenivano dalle foreste, erano i semi-nomadi che i bianchi “scoprirono” nella seconda metà del Diciannovesimo secolo e contro i quali ingaggiarono la Guerra degli Huala-pai durata ben quattro anni. Gli Indiani ne uscirono decimati dalle armi e dalle malattie dei colonizzatori e furono confinati vicino all'attuale città di Parker in Arizona, ma fuggirono. In seguito furono catturati e internati in Riserva. Oggi abitano a Peach Spring.
Nulla che riconduca alla lontana Africa, nulla che porti all'Egitto ed ai suoi abitanti.
Gli Antichi Egizi
Secondo lo storico Erodoto gli Egizi
sotto il Faraone Neko (610-595 a.C.)
circumnavigarono l'Africa.
Alla fine del Paleolitico in Europa i ghiacci si ritirarono con conseguenti ripercussioni nel Nordafrica: il clima, divenuto più secco, determinò la trasformazione di un grosso lago interno in quel fiume Nilo che conosciamo noi oggi, lungo il cui corso si concentrò la vita nomade dell'epoca. Successive contaminazioni con i popoli della Palestina portarono l'agricoltura (frumento e orzo) e mano a mano si arrivò ad uno stile di vita stanziale: si addomesticarono gli animali e si sfruttarono le piene del fiume per garantire le coltivazioni. Già in epoca remota si può parlare di genti riunite in un unico Paese.
Gli studiosi ortodossi riassumono e schematizzano così la lunga Storia dell'(antico) Egitto:
- in periodo preistorico antico (Neolitico): i defunti venivano sepolti rannicchiati su un fianco e circondati da suppellettili, si credeva nell'aldilà e curiosamente nelle tombe maschili sono state rinvenute statuine di donna atte a soddisfare le esigenze del maschio nella vita ultraterrena;
-periodo preistorico recente: i contatti con le popolazioni asiatiche introdussero attrezzatura in rame e nuove conoscenze, in realtà benché l'Egitto non disponesse delle condizioni ideali affinché si potesse sviluppare la navigazione marittima, che necessitava di legname per costruire grosse navi e coste adatte per affrontare il Mediterraneo, non rimase isolato, anzi disponiamo di figure di navi egizie piuttosto grandi dipinte sui vasi già dal 3100 a.C.
Gradualmente ci fu il passaggio dal Periodo Predinastico a quello Protodinastico preceduto dalla
Gli Egizi la cui straordinaria civiltà nacque e si sviluppò intorno e grazie al Nilo, si specializzarono nella navigazione fluviale e furono senz'altro discreti navigatori. Usavano diversi tipi di imbarcazione: da semplici zattere in fibra di papiro fino alle più solide barche di legno in cedro del Libano che attraversavano il Nilo, chiatte di grandi dimensioni erano destinate infine ai trasporti eccezionali come gli obelischi e gli enormi massi di pietra usati nell'edificazione delle piramidi.
Alla fine dell'Antico Regno, furono azzardate imprese per mare, anche se probabilmente la convinzione che morire in mare precludeva la possibilità di una vita ultraterrena frenava questo tipo di viaggio: si partiva con robuste navi da carico alla ricerca di resine e incensi alla volta Somalia, ma meglio documentata è la penetrazione egizia in Palestina, tuttavia la massima testimonianza egizia all'estero resta quella in Libano. I documenti ufficiali non trattano di viaggi al di là dell'oceano, ma si limitano ad attestare l'assidua frequentazione di Biblos e di Creta e la spedizione nella lontana Punt.
Le cosiddette barche solari ritrovate, invece, di lato alle tombe reali in buche più o meno profonde avevano lo scopo di assicurare al defunto un mezzo di trasporto nelle oscure acque dell'aldilà. Erano in legno di cedro: la più celebre, completamente ricostruita nel sito del rinvenimento è quella di Cheope
Il primo grande sovrano della XX dinastia nonché ultimo grande faraone d'Egitto fu Ramesse III.
Di tutte le epoche della gloriosa storia egiziana che vide anche momenti bui, il Periodo del Nuovo Regno è senza ombra di dubbio, il più prestigioso, eppure nemmeno allora si registrarono viaggi oltreoceano.
Le mummie più famose del mondo sono sicuramente quelle egizie e la notizia del rinvenimento di mummie egizie nel Grand Canyon è molto curiosa. Viene da chiedersi quale ponte possa collegare il Vecchio e il Nuovo Mondo. Di certo si possono riscontrare alcuni parallelismi tra i culti nordafricani e quelli del continente americano ma possono anche molto semplicemente rappresentare la risposta universale dell'uomo alle domande sulla vita e sulla morte che ogni popolo in ogni luogo e in ogni tempo si è posto indipendentemente l'uno dagli altri. G.E. Kinkaid, primo bianco nato dell'Idaho, cacciatore e ricercatore, già impiegato all'illustre Smithsonian Institute di Washington, secondo uomo a sfidare con una piccola barca le acque del fiume Colorado, partito da Green River (Wyoming) in ottobre per raggiungere Yuma, dichiarò di avere trovato, in maniera del tutto casuale, mentre cercava minerali, un sistema di gallerie sotterranee, poste sopra il fiume Colorado, contenenti vari reperti antichi tra cui statue e mummie. Successivamente l'archeologo dello Smithsonian Institute di Washington S.A. Jordan sarebbe stato incaricato di effettuare ricerche sul posto. Recentemente ha provato ad occuparsi del caso David Hatcher Childress del "World Explorer Club" di Kempton (Illinois) il quale ha contattato lo Smithsonian Institute che lo ha liquidato velocemente sostenendo che:
1) nel continente americano non sono mai stati rinvenuti reperti in qualche modo legati alla civiltà egizia;
2) non sono mai stati fatti scavi nella zona;
3) nessuno allo Smithsonian Instituite ha mai sentito parlare né di Kinkaid né di Jordan.
Una verità scomoda o una truffa? Si dice che sul versante settentrionale del Grand Canyon ci siano incisioni con nomi egizi, il che però viene al tempo stesso ampiamente smentito, ad ogni modo quella zona è interdetta al pubblico per questioni di sicurezza perciò, anche volendo, non è possibile verificare la veridicità di queste voci.
Quel che è certo è che nello "Smithsonian Scientific Serie" (1910) Jordan compare, anzi pare che proprio lo Smithsonian Institute abbia sovvenzionato una spedizione archeologica che dimostrò come ad abitare queste rocce fu una civiltà che presumibilmente proveniva dall'Egitto. Un'appassionante scoperta, se fosse vera: sarebbe stato esaminato, stando all'articolo, il primo chilometro dell'ingresso principale posto alla profondità di 450 metri; alla conclusione di questo ambiente una sala ampia e un dipanarsi a raggiera di numerose gallerie contenenti mummie maschili, armi, utensili in rame, vasellame e oggetti in oro finemente lavorati, oltre a un oscuro metallo grigio simile al platino, piccole teste scolpite distribuite sul pavimento e statue che ricordano l'arte tibetana con strane scritte simili a geroglifici che nessuno è stato in grado di decifrare, specifichiamo che geroglifici misteriosi analoghi si trovano nella parte meridionale dell’Arizona.
Oggi purtroppo non è possibile reperire informazioni sull'argomento nella letteratura specialistica, il tutto potrebbe essere frutto di un sapiente insabbiamento, perché è inopportuno ammettere che gli antichi egizi si sarebbero avventurati nell'oceano, o della necessaria mossa per mettere definitivamente a tacere voci infondate che alimenterebbero una vecchia e fraudolenta presa in giro.
Resta il fatto che a parte l'articolo non firmato già citato non esiste altra documentazione in proposito, tra l'altro Kinkaid non avrebbe mai parlato di mummie egizie, ma solo di mummie: Kinkaid ha citato una statua somigliante a quelle del Buddha e di un culto forse riconducibile al Tibet, è l'anonimo autore dell'articolo ad azzardare il collegamento tra l'affascinante scoperta e gli Egizi.
E' inverosimile che gli antichi Egizi possano avere navigato l'Atlantico per raggiungere il continente americano, anche se qualcuno può obiettare che il popolo delle grandi piramidi potrebbe ulteriormente sorprenderci: innanzitutto nessun papiro, nessun testo di pietra in geroglifico, nessuna fonte successiva racconta di viaggi veri o leggendari di Egizi al di là dell'oceano Atlantico, inoltre gli Egizi non disponevano dei mezzi necessari per effettuare una traversata di tale portata e allo stesso modo sembra altamente improbabile che mummie egizie possano essere state trasferite clandestinamente dall'Egitto agli Stati Uniti in epoca relativamente moderna.
Ammesso che nelle grotte scoperte da Kinkaid ci fosse veramente qualcosa: più che tibetani o egiziani è molto probabile che i resti ritrovati siano da attribuire ai Pueblo Ancestrali, il sito è infatti vicino a un centro Navajo (i Navajo sono loro discendenti). Molti sono convinti che i graffiti rinvenuti nelle caverne del Grand Canyon siano riconducibili ai Pueblo Ancestralil qualcuno invece pensa a un'origine asiatica.
Il periodo più florido della zona va dal 1100 al 1300.
Alla fine del Trecento i Pueblo Ancestrali abbandonarono l'area, probabilmente a causa della siccità come già detto sopra.
Per i quattrocento anni successivi non vi furono stanziamenti permanenti in questi territori, anche se gli Indiani Hopi li usavano per semina e raccolta di cereali e occasionalmente per la caccia.
Nel 1700 circa il canyon venne occupato stabilmente dai Navajo.
Nel 1882 una spedizione dello Smithsonian Institute guidata da James Stevenson effettuò ricerche nella regione: in un canyon laterale del Canyon de Chelly vennero ritrovati i resti mummificati di sepolture preistoriche indiane. Da allora il canyon venne chiamato il Canyon del Muerto (il canyon è tuttora abitato dalla comunità Navajo).
Fonti bibliografiche:
-Agnese Giorgio e Re Maurizio, Antico Egitto, arte e archeologia della terra dei faraoni, La Stampa-White Star 2006
-Aldred Cyril, Gli Egiziani, tre millenni di civiltà, origine, splendore e declino di un antico popolo sulle sponde del Nilo, Paperbacks civiltà scomparse Newton & Compton Editori, Roma 1988 (Titolo originale: The Egyptians, 1961)
-Atlante della storia, Egitto, un'antica grande civiltà (a cura di Antonella Grignola) Demetra, Verona 1997
-Bürgin Luc, Archeologia eretica, Fabbri Editori, Milano 2005 (Titolo originale: Ratsel Der Archalogie, 2003)
-Bürgin Luc, Archeologia misterica, Fabbri Editori, Milano (Titolo originale: Geheimakte Archalogie, 1998)
-“Colpi di Luna”, di Alfredo Castelli in I Grandi Enigmi di Martyn Mystère, “Cospirazione Luna” n° 295, Sergio Bonelli Editore, 2008
-James Peter e Thorpe Nick, Il Libro degli Antichi Misteri, Uno straordinario viaggio negli enigmi della storia dell'umanità, Armenia, Milano 2005 (Titolo originale Ancient Mysteries, 1999)
-Le Guide Mondadori-,USA, Arnoldo Mondadori Editore, Milano 2010
-L'Enciclopedia dei Misteri di Martin Mystère (a cura di Alfredo Castelli) Oscar Mondadori, Milano 1993
-Reid Howard, Il Mistero delle Mummie - Alla ricerca degli immortali. Dalle mummie egizie a quelle congelate dei nomadi siberiani, dai cadaveri nelle paludi dell'Europa nord-occidentale alla valle dei morti in Perù, , Newton & Compton Editori-Il Secolo XIX, Roma 2005 (Titolo originale: In Search of the Immortals, 1999)
-Voyager magazine, Luglio 2013, Anno II, numero 7 (10)
-Ward Greg, The Rough Guide- Grand Canyon, Avallardi Viaggi, Antonio Vallardi Editore, Bologna 2004 (Titolo originale: The Rough Guide to The Grand Canyon, 2003)
-Zapp I. ed Erikson G., Le Strade di Atlantide, dal Mesoamerica alla grande piramide, fino a Stonehenge e all'isola di Pasqua, decine di antichissime sfere segnano la rotta di una misteriosa civiltà di navigatori, Piemme, 2002 (Titolo originale: Atlantis in America, 1998)
Internet:
-http://www.antikitera.net/news.asp?ID=7990
-http://www.carloandreatta.com/canyon-de-chelly-nm/
Questo e altri art. si possono leggere nel mio Blog: http://clubdelmistero.altervista.org/
Il mio pensiero è stato, leggendo le prime righe del capitolo 14° di "Archeologia Misterica" di Luc Bürgin, che qualcuno, trafugati i sarcofagi in Egitto in epoca decisamente recente molto prossima alla data della scoperta stessa della regione, li avesse trasportati via mare negli USA trovando il modo di occultarli nel Grand Canyon, ma in che modo e quando? A onor del vero l'ipotesi più accreditata è un'altra: vale a dire che si tratti di una colossale bufala, poiché nel momento in cui c’era penuria di notizie reali, nell’America a cavallo tra il XIX e il XX secolo, nelle redazioni non si facevano scrupoli a inventare notizie di sana pianta che andavano sotto il nome di Hoax (burla giornalistica).
Formatosi nell'arco di sei milioni di anni grazie all'erosione del fiume Colorado che ne decise la profondità, il Grand Canyon deve la sua larghezza e la sua costituzione anche al contributo di altri agenti quali il vento, il calcare, le piogge e il ghiaccio. Per quanto il paesaggio possa sembrare quasi inospitale e del tutto invivibile, l'uomo vi si insediò già 12000 anni fa.
Il Grand Canyon è diventato ambita meta turistica nell'ultimo secolo: oggi è visitato da quasi cinque milioni di persone ogni anno.
L'archeologia ufficiale ha riportato alla luce e catalogato reperti del 10000 a.C. attribuiti alla civiltà dei Clovis.
I Clovis
Quella dei Clovis fu una tribù di cacciatori che comparve nell'America Settentrionale tra il 10000 e il 9200 a.C. come attestano le prove al radiocarbonio. Presumibilmente provenienti dalle regioni siberiane, i Clovis si espansero nell'intero continente americano dove vissero per circa due millenni.
Nel 1932 Edgar Howard dell'Università della Pennsylvania trovò alcune punte di lancia molto antiche e un mammut sulle sponde del lago a Clovis nel Nuovo Messico, cinque anni prima sempre nel Nuovo Messico, ma questa volta a Folsom, era stata rinvenuta una serie di punte di lancia in pietra nella carcassa di un antenato di bisonte che si estinse prima della fine dell'ultima era glaciale. Nel 1949 a Clovis furono ritrovati altri reperti simili a quelli di Folsom. Si concluse che i cacciatori di Clovis fossero precedenti a quelli di Folsom.
La "Ghost Dance"
Sia gli Havasu-pai sia gli Huala-pai
parteciparono alla danza dei fantasmi:
in preda a una profonda crisi religiosa,
sul finire dell'Ottocento i Nativi Americani
in trance invocavano la cacciata dell'uomo
bianco dalla loro terra.
I Pueblo Ancestrali (o Anasazi)
Intorno al 1000 a.C. in queste zone si era diffusa l'agricoltura: granoturco, zucca e fagioli modificarono gradatamente il regime alimentare dei cacciatori nomadi e semi-nomadi del Grand Canyon e così cominciarono a sorgere i primi villaggi che gli Spagnoli battezzeranno pueblos.
Già nel 700 d.C. il Grand Canyon era abitato dal misterioso popolo degli Anasazi (termine che in Navajo significava originariamente "antichi" poi tradotto con "nemici") nome cui in larga misura, oggi, si preferisce il nome di Pueblo Ancestrali.
I Pueblo Ancestrali costruirono nel 1000 d.C. ca. a Mesa Verde (Colorado) e a Chaco Canyon (Nuovo Messico) meravigliose città e oltre 300 chilometri di strade assolutamente perfette che per costruirle uguali oggi ci si dovrebbe avvalere di una tecnologia di tipo satellitare. A Mesa Verde, la cittadella scavata nella roccia presenta duecento casette di una sola stanza e quasi quaranta kiwas (stanze circolari, leggermente interrate, per i rituali segreti, in origine ricoperte da un tetto, con un buco nel pavimento: il sipapu da cui, secondo queste genti, fuoriusciva l’energia della terra. Altri Pueblo danno al sipapu un diverso significato).
I Pueblo Ancestrali del Grand Canyon erano divisi in:
- Kayenta (che vivevano ad est e nelle aree centrali del canyon);
- Cohonina (secondo le testimonianze archeologiche di cui disponiamo, questi uomini che invece abitavano ad ovest ed erano forti consumatori di agave selvatica fritta ad uso alimentare, sarebbero stati i primi ad occupare l’Havasu Canyon tra il 700 e il 1100 d.C. sostituiti circa duecento anni dopo dai Cerbat o Pai);
- Paiute (stanziati all'estremità occidentale del Nord Rim);
- Pai o Cerbat (che presero il posto degli Cohonina nell'ovest). Dai Pai o Cerbat discesero a loro volta:
- gli Yava-pai
- gli Havasu-pai
- gli Huala-pai
Havasu-pai
Il nome Havasu-pai vuol dire "popolo dell'acqua verde-blu": percorrendo il sentiero che porta alla loro Riserva si possono ammirare le straordinarie acque color turchese delle cascate occultate nel profondo del Canyon. Semi-nomadi ebbero rapporti con gli Indiani Hopi e con gli Indiani Zuni che insegnarono loro ad allevare il bestiame e a coltivare la terra. Il primo europeo che li incontrò nel 1776 - nel corso di quella spedizione che vide la fondazione della città di San Francisco - fu il missionario padre Francisco Tomas Garces che i Nativi celebrarono addirittura con cinque giorni consecutivi di feste e danze.
Gli Havasu-pai non parteciparono alla Guerra degli Huala-pai (1865-1869) e seppero scendere a compromessi con il Governo, accettando di vivere in una minuscola area che sfruttarono fino a esaurirla, ma non smisero di chiedere a gran voce di potersi allargare. Nel 1968, le loro richieste furono esaudite: arrivò un risarcimento di 1,24 milioni di dollari per le terre loro sottratte e sette anni dopo ottennero di poter aggiungere 81.000 ettari alla loro riserva più l'uso di 38.500 ettari dentro il parco a patto che restasse incontaminato: la più grande concessione di terreno degli Stati Uniti ai Nativi.
Huala-pai
Il loro nome significa "popolo degli alti pini", perché provenivano dalle foreste, erano i semi-nomadi che i bianchi “scoprirono” nella seconda metà del Diciannovesimo secolo e contro i quali ingaggiarono la Guerra degli Huala-pai durata ben quattro anni. Gli Indiani ne uscirono decimati dalle armi e dalle malattie dei colonizzatori e furono confinati vicino all'attuale città di Parker in Arizona, ma fuggirono. In seguito furono catturati e internati in Riserva. Oggi abitano a Peach Spring.
Nulla che riconduca alla lontana Africa, nulla che porti all'Egitto ed ai suoi abitanti.
Gli Antichi Egizi
Secondo lo storico Erodoto gli Egizi
sotto il Faraone Neko (610-595 a.C.)
circumnavigarono l'Africa.
Alla fine del Paleolitico in Europa i ghiacci si ritirarono con conseguenti ripercussioni nel Nordafrica: il clima, divenuto più secco, determinò la trasformazione di un grosso lago interno in quel fiume Nilo che conosciamo noi oggi, lungo il cui corso si concentrò la vita nomade dell'epoca. Successive contaminazioni con i popoli della Palestina portarono l'agricoltura (frumento e orzo) e mano a mano si arrivò ad uno stile di vita stanziale: si addomesticarono gli animali e si sfruttarono le piene del fiume per garantire le coltivazioni. Già in epoca remota si può parlare di genti riunite in un unico Paese.
Gli studiosi ortodossi riassumono e schematizzano così la lunga Storia dell'(antico) Egitto:
- Periodo Predinastico (4000-3000 ca. a.C.)
- in periodo preistorico antico (Neolitico): i defunti venivano sepolti rannicchiati su un fianco e circondati da suppellettili, si credeva nell'aldilà e curiosamente nelle tombe maschili sono state rinvenute statuine di donna atte a soddisfare le esigenze del maschio nella vita ultraterrena;
-periodo preistorico recente: i contatti con le popolazioni asiatiche introdussero attrezzatura in rame e nuove conoscenze, in realtà benché l'Egitto non disponesse delle condizioni ideali affinché si potesse sviluppare la navigazione marittima, che necessitava di legname per costruire grosse navi e coste adatte per affrontare il Mediterraneo, non rimase isolato, anzi disponiamo di figure di navi egizie piuttosto grandi dipinte sui vasi già dal 3100 a.C.
Gradualmente ci fu il passaggio dal Periodo Predinastico a quello Protodinastico preceduto dalla
- Dinastia Zero (3000 a.C. circa)
- Periodo Protodinastico (I-II Dinastia, 2920-2600 ca. a.C.)
- Antico Regno - Le Piramidi (III-VI Dinastia, 2600-2180 ca. a.C.)
Gli Egizi la cui straordinaria civiltà nacque e si sviluppò intorno e grazie al Nilo, si specializzarono nella navigazione fluviale e furono senz'altro discreti navigatori. Usavano diversi tipi di imbarcazione: da semplici zattere in fibra di papiro fino alle più solide barche di legno in cedro del Libano che attraversavano il Nilo, chiatte di grandi dimensioni erano destinate infine ai trasporti eccezionali come gli obelischi e gli enormi massi di pietra usati nell'edificazione delle piramidi.
Alla fine dell'Antico Regno, furono azzardate imprese per mare, anche se probabilmente la convinzione che morire in mare precludeva la possibilità di una vita ultraterrena frenava questo tipo di viaggio: si partiva con robuste navi da carico alla ricerca di resine e incensi alla volta Somalia, ma meglio documentata è la penetrazione egizia in Palestina, tuttavia la massima testimonianza egizia all'estero resta quella in Libano. I documenti ufficiali non trattano di viaggi al di là dell'oceano, ma si limitano ad attestare l'assidua frequentazione di Biblos e di Creta e la spedizione nella lontana Punt.
Le cosiddette barche solari ritrovate, invece, di lato alle tombe reali in buche più o meno profonde avevano lo scopo di assicurare al defunto un mezzo di trasporto nelle oscure acque dell'aldilà. Erano in legno di cedro: la più celebre, completamente ricostruita nel sito del rinvenimento è quella di Cheope
- Primo Periodo Intermedio (VII-X Dinastia, 2180-2080 ca. a.C.)
- Medio Regno (XI-XIII Dinastia, 2080-1640 ca. a.C)
- Secondo Periodo Intermedio (XIV-XVII Dinastia, 1640- 1570 ca. a.C.)
- Nuovo Regno (XVIII-XX Dinastia, 1570-1075 ca. a.C.)
Il primo grande sovrano della XX dinastia nonché ultimo grande faraone d'Egitto fu Ramesse III.
Di tutte le epoche della gloriosa storia egiziana che vide anche momenti bui, il Periodo del Nuovo Regno è senza ombra di dubbio, il più prestigioso, eppure nemmeno allora si registrarono viaggi oltreoceano.
- Terzo Periodo Intermedio(XXI-XXV Dinastia, 1075-664 a.C.)
- Epoca Tarda (XXVI- XXXI Dinastia 664-332 a.C.)
- Età Ellenistica (i Macedoni 332- 305 a.C. e i Tolemaici 305-30 a.C.)
- Epoca Romana (30 a.C.- 313 d.C.)
Le mummie più famose del mondo sono sicuramente quelle egizie e la notizia del rinvenimento di mummie egizie nel Grand Canyon è molto curiosa. Viene da chiedersi quale ponte possa collegare il Vecchio e il Nuovo Mondo. Di certo si possono riscontrare alcuni parallelismi tra i culti nordafricani e quelli del continente americano ma possono anche molto semplicemente rappresentare la risposta universale dell'uomo alle domande sulla vita e sulla morte che ogni popolo in ogni luogo e in ogni tempo si è posto indipendentemente l'uno dagli altri. G.E. Kinkaid, primo bianco nato dell'Idaho, cacciatore e ricercatore, già impiegato all'illustre Smithsonian Institute di Washington, secondo uomo a sfidare con una piccola barca le acque del fiume Colorado, partito da Green River (Wyoming) in ottobre per raggiungere Yuma, dichiarò di avere trovato, in maniera del tutto casuale, mentre cercava minerali, un sistema di gallerie sotterranee, poste sopra il fiume Colorado, contenenti vari reperti antichi tra cui statue e mummie. Successivamente l'archeologo dello Smithsonian Institute di Washington S.A. Jordan sarebbe stato incaricato di effettuare ricerche sul posto. Recentemente ha provato ad occuparsi del caso David Hatcher Childress del "World Explorer Club" di Kempton (Illinois) il quale ha contattato lo Smithsonian Institute che lo ha liquidato velocemente sostenendo che:
1) nel continente americano non sono mai stati rinvenuti reperti in qualche modo legati alla civiltà egizia;
2) non sono mai stati fatti scavi nella zona;
3) nessuno allo Smithsonian Instituite ha mai sentito parlare né di Kinkaid né di Jordan.
Una verità scomoda o una truffa? Si dice che sul versante settentrionale del Grand Canyon ci siano incisioni con nomi egizi, il che però viene al tempo stesso ampiamente smentito, ad ogni modo quella zona è interdetta al pubblico per questioni di sicurezza perciò, anche volendo, non è possibile verificare la veridicità di queste voci.
Quel che è certo è che nello "Smithsonian Scientific Serie" (1910) Jordan compare, anzi pare che proprio lo Smithsonian Institute abbia sovvenzionato una spedizione archeologica che dimostrò come ad abitare queste rocce fu una civiltà che presumibilmente proveniva dall'Egitto. Un'appassionante scoperta, se fosse vera: sarebbe stato esaminato, stando all'articolo, il primo chilometro dell'ingresso principale posto alla profondità di 450 metri; alla conclusione di questo ambiente una sala ampia e un dipanarsi a raggiera di numerose gallerie contenenti mummie maschili, armi, utensili in rame, vasellame e oggetti in oro finemente lavorati, oltre a un oscuro metallo grigio simile al platino, piccole teste scolpite distribuite sul pavimento e statue che ricordano l'arte tibetana con strane scritte simili a geroglifici che nessuno è stato in grado di decifrare, specifichiamo che geroglifici misteriosi analoghi si trovano nella parte meridionale dell’Arizona.
Oggi purtroppo non è possibile reperire informazioni sull'argomento nella letteratura specialistica, il tutto potrebbe essere frutto di un sapiente insabbiamento, perché è inopportuno ammettere che gli antichi egizi si sarebbero avventurati nell'oceano, o della necessaria mossa per mettere definitivamente a tacere voci infondate che alimenterebbero una vecchia e fraudolenta presa in giro.
Resta il fatto che a parte l'articolo non firmato già citato non esiste altra documentazione in proposito, tra l'altro Kinkaid non avrebbe mai parlato di mummie egizie, ma solo di mummie: Kinkaid ha citato una statua somigliante a quelle del Buddha e di un culto forse riconducibile al Tibet, è l'anonimo autore dell'articolo ad azzardare il collegamento tra l'affascinante scoperta e gli Egizi.
E' inverosimile che gli antichi Egizi possano avere navigato l'Atlantico per raggiungere il continente americano, anche se qualcuno può obiettare che il popolo delle grandi piramidi potrebbe ulteriormente sorprenderci: innanzitutto nessun papiro, nessun testo di pietra in geroglifico, nessuna fonte successiva racconta di viaggi veri o leggendari di Egizi al di là dell'oceano Atlantico, inoltre gli Egizi non disponevano dei mezzi necessari per effettuare una traversata di tale portata e allo stesso modo sembra altamente improbabile che mummie egizie possano essere state trasferite clandestinamente dall'Egitto agli Stati Uniti in epoca relativamente moderna.
Ammesso che nelle grotte scoperte da Kinkaid ci fosse veramente qualcosa: più che tibetani o egiziani è molto probabile che i resti ritrovati siano da attribuire ai Pueblo Ancestrali, il sito è infatti vicino a un centro Navajo (i Navajo sono loro discendenti). Molti sono convinti che i graffiti rinvenuti nelle caverne del Grand Canyon siano riconducibili ai Pueblo Ancestralil qualcuno invece pensa a un'origine asiatica.
Il periodo più florido della zona va dal 1100 al 1300.
Alla fine del Trecento i Pueblo Ancestrali abbandonarono l'area, probabilmente a causa della siccità come già detto sopra.
Per i quattrocento anni successivi non vi furono stanziamenti permanenti in questi territori, anche se gli Indiani Hopi li usavano per semina e raccolta di cereali e occasionalmente per la caccia.
Nel 1700 circa il canyon venne occupato stabilmente dai Navajo.
Nel 1882 una spedizione dello Smithsonian Institute guidata da James Stevenson effettuò ricerche nella regione: in un canyon laterale del Canyon de Chelly vennero ritrovati i resti mummificati di sepolture preistoriche indiane. Da allora il canyon venne chiamato il Canyon del Muerto (il canyon è tuttora abitato dalla comunità Navajo).
Fonti bibliografiche:
-Agnese Giorgio e Re Maurizio, Antico Egitto, arte e archeologia della terra dei faraoni, La Stampa-White Star 2006
-Aldred Cyril, Gli Egiziani, tre millenni di civiltà, origine, splendore e declino di un antico popolo sulle sponde del Nilo, Paperbacks civiltà scomparse Newton & Compton Editori, Roma 1988 (Titolo originale: The Egyptians, 1961)
-Atlante della storia, Egitto, un'antica grande civiltà (a cura di Antonella Grignola) Demetra, Verona 1997
-Bürgin Luc, Archeologia eretica, Fabbri Editori, Milano 2005 (Titolo originale: Ratsel Der Archalogie, 2003)
-Bürgin Luc, Archeologia misterica, Fabbri Editori, Milano (Titolo originale: Geheimakte Archalogie, 1998)
-“Colpi di Luna”, di Alfredo Castelli in I Grandi Enigmi di Martyn Mystère, “Cospirazione Luna” n° 295, Sergio Bonelli Editore, 2008
-James Peter e Thorpe Nick, Il Libro degli Antichi Misteri, Uno straordinario viaggio negli enigmi della storia dell'umanità, Armenia, Milano 2005 (Titolo originale Ancient Mysteries, 1999)
-Le Guide Mondadori-,USA, Arnoldo Mondadori Editore, Milano 2010
-L'Enciclopedia dei Misteri di Martin Mystère (a cura di Alfredo Castelli) Oscar Mondadori, Milano 1993
-Reid Howard, Il Mistero delle Mummie - Alla ricerca degli immortali. Dalle mummie egizie a quelle congelate dei nomadi siberiani, dai cadaveri nelle paludi dell'Europa nord-occidentale alla valle dei morti in Perù, , Newton & Compton Editori-Il Secolo XIX, Roma 2005 (Titolo originale: In Search of the Immortals, 1999)
-Voyager magazine, Luglio 2013, Anno II, numero 7 (10)
-Ward Greg, The Rough Guide- Grand Canyon, Avallardi Viaggi, Antonio Vallardi Editore, Bologna 2004 (Titolo originale: The Rough Guide to The Grand Canyon, 2003)
-Zapp I. ed Erikson G., Le Strade di Atlantide, dal Mesoamerica alla grande piramide, fino a Stonehenge e all'isola di Pasqua, decine di antichissime sfere segnano la rotta di una misteriosa civiltà di navigatori, Piemme, 2002 (Titolo originale: Atlantis in America, 1998)
Internet:
-http://www.antikitera.net/news.asp?ID=7990
-http://www.carloandreatta.com/canyon-de-chelly-nm/
Questo e altri art. si possono leggere nel mio Blog: http://clubdelmistero.altervista.org/
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sabato 26 luglio 2014
La storia segreta degli indiani Zuni nei petroglifi del Nuovo Messico
Sono stata incoraggiata a scrivere queste righe a proposito dei petroglifi (incisioni sulla roccia che rappresentano l'espressione artistica di popoli preistorici e di una serie di popolazioni che vivono allo stato primitivo) incisi dagli indiani Zuni dal mio amico Davide, dopo che entrambi avevamo guardato con curiosità un documentario trasmesso da Focus, canale 56 del digitale terrestre, della serie "Enigmi Alieni", nel quale c'è un'interessante intervista all'anziano zuni Clifford Mahooty e all'archeologo Dan Simplicio, oltre all'intervento di una serie di altri studiosi ed esperti che affrontano questo affascinante tema. Ho registrato la trasmissione, sbobinato il contenuto, svolto ulteriori ricerche nella mia personale biblioteca e in rete, cercando di mettere insieme il tutto.
Gli indiani Zuni considerano
Awonawilona il creatore ori-
ginario, colui che prima si
trasformò in Sole e poi gene-
rò le nuvole che a loro volta
diedero vita al mare, infine
arrivò la Madre Terra.
Il nome Zuni deriva da Sunyits, vocabolo dall'etimologia ignota; sono chiamati anche Àshiwi. Si pensa che con i Navajo e gli Hopi possano essere i discendenti diretti degli Anasazi. Si distinguono per il prezioso lavoro di intaglio delle pietre e per le splendide terrecotte decorate; essendo stati per secoli agricoltori i loro culti sono strettamente legati alla terra, alla stagione del raccolto e al cielo. L'organizzazione sociale e religiosa del popolo Zuni si basa su quattro livelli allo stesso tempo sovrapposti e integrati (i clan, i gruppi delle kiwas - a formare "la Società dei Kachina"- le società terapeutiche e infine le società sacerdotali). I 13 clan sono raggruppati nelle cosiddette sette fratrie. A questo proposito c'è da sottolineare l'importanza del numero sette per gli Zuni: la città "santa" Zuni che è considerata il Centro del Mondo è infatti suddivisa in sette parti corrispondenti ai sette quartieri del mondo. Questa città è stata edificata unendo sette villaggi molto antichi che ripropongono la medesima divisione del cosmo (cfr. le sette sfere). D'altra parte i loro antichi villaggi erano raggruppati di sei in sei con al centro un settimo villaggio e sulla base del principio settenario è fondata anche la gerarchia sacerdotale formata da sei Sacerdoti della Casa, sintetizzati nella Sacerdotessa Madre (la settima appunto). Ogni anno vengono scambiati cereali di vari colori: durante le cerimonie il rappresentante di ogni regione riceve un chicco di grano simbolico: bianco (est) cui è associato il Lupo Bianco, giallo (nord) cui è associato il Leone di Montagna, rosso (sud) legato al Tasso Rosso, azzurro (ovest) accoppiato all'Orso blu, nero (basse regioni sotterranee), legato alla Talpa Nera del Nadir, una spiga multicolore (regioni superiori del cielo) associata all'Aquila Splendente o Multicolore dello Zenit, infine, il punto centrale sintetizza e comprende gli altri sei. Gli Zuni hanno gruppi segreti e la loro società è di stampo matrilineare: si stabilisce al momento della nascita che l'individuo appartiene al clan della propria madre, tuttavia è in qualche modo "figlio" anche del clan del padre. Il bambino a 8 anni circa viene "iniziato" in un gruppo kiwa (gruppo maschile) scelto da uno dei genitori, ma nell'arco della propria vita un uomo può scegliere anche un altro gruppo kiwa. Appartenere a una società terapeutica (aperta anche alle donne) è cosa diversa che dipende dall'avere una malattia o dal fare una richiesta di guarigione, infine il clan di cui si fa parte influisce sulla possibilità o no di diventare sacerdote; comunque il culto più importante rimane quello dei Kachina.
Il primo contatto tra gli indiani Zuni, un tempo stanziati in un'ampia area tra il Nuovo Messico e l'Arizona, e gli Europei si registrò negli anni Trenta del XVI secolo, nemmeno vent'anni dopo la pesante sconfitta subita dagli Aztechi del Messico per mano di Cortés, allorché frate Marco di Nizza fu incaricato dal viceré di Spagna di guidare una spedizione affiancato da un ex-schiavo di nome Estevanico, per rintracciare le leggendarie Sette Città di Cibola, le cui strade si diceva fossero ricoperte d'oro, e invece s'imbatté in alcuni villaggi Zuni scevri delle immense ricchezze ambite dagli Spagnoli: frate Marco individuò da un'altura i muri chiari di mattoni che a suo dire brillavano come oro al sole e ne fu abbagliato. Qualcuno allora ritenne che il francescano e i suoi uomini si sarebbero dovuti spingere oltre, alla ricerca dell'oro, e così l'anno dopo partì un gruppo decisamente più corposo, composto da oltre 300 soldati spagnoli che si arruolarono come volontari senza salario, più un centinaio di Nativi, per così dire alleati, capitanati da Francisco Vasquez de Coronado, giovane hidalgo di stirpe nobile già governatore militare, con lo scopo di asservire le Sette Città di Cibola al sovrano di Spagna.
Alla fine la leggenda delle favolose città si infranse miseramente: le Sette Città di Cibola, esaltate dai cronisti dell'epoca, ingigantite dal passaparola, sognate dagli esploratori erano ancora una volta i villaggi Zuni sorti sull'alto corso del fiume Zuni, composti da case ad alveare alte fino a sette piani con poche camere e senza cortile, nelle quali non fu rinvenuta traccia d'oro né di pietre preziose.
La zona venne occupata nel 1598 dalle truppe di Juan de Oñate, che aspirava nuovamente a scoprire città traboccanti d'oro, accecato dall'effimera illusione dell'El Dorado: i suoi abitanti erano quelli che i Conquistadores descrivevano come i miti Indios de los Pueblos (il nome "pueblo" che indica le popolazioni del Sudovest vuol dire "villaggio" e lo si deve proprio agli Spagnoli che vi giunsero per l'appunto sul finire del XVI secolo) in contrapposizione ai nomadi Indios barbaros abituati ad assalire di sorpresa.
I missionari francescani purtroppo tentarono di imporre con la forza la religione cattolica:
1) vietando le cerimonie della tradizione;
2) imprigionando i capi;
3) distruggendo i luoghi sacri rappresentati dalle kiwas (stanze cerimoniali a pianta circolare semi-sotterranee atte a ospitare i rituali segreti).
La vita dell'intera comunità ruotava intorno ai sacri culti e la castrazione delle tradizioni native operata sistematicamente dai religiosi europei naturalmente ne minava le fondamenta: i Nativi, portati all'esasperazione, si ribellarono e il 10 agosto 1680 vennero uccisi 21 missionari e circa 400 coloni. La risposta, non immediata, fu una sanguinosa campagna di repressione e di riconquista, ma gli Zuni trovarono rifugio in una delle loro roccaforti più sicure in cima a un'alta e inaccessibile mesa. Nel 2000 furono censiti 7758 indiani Zuni. Oggi si ritiene siano circa 5000, confinati nella loro riserva di 40.000 acri a una trentina di miglia a sud di Gallup in una regione sul margine nord-occidentale del Nuovo Messico dove da coltivatori di mais, fagioli e zucca sono per lo più diventati allevatori di bestiame e dove più di ogni altra tribù ancora oggi custodiscono gelosamente le proprie tradizioni culturali e le profonde conoscenze astronomiche.
Le loro tradizioni e le loro credenze oggi sopravvivono nello straordinario sistema di preghiere, negli antichi rituali della mitologia e nei canti che vengono recuperati e attentamente indagati dall'anziano della tribù Clifford Mahooty e dall'archeologo Dan Simplicio, grazie ai quali sta riemergendo la storia segreta di questo Popolo: una delle tribù indigene più antiche del Nord America (si pensa abitino nell'odierno Nuovo Messico da quasi 2000 anni, alcuni Zuni che oggi vivono in Nuovo Messico proverrebbero dalle Rainbow Falls, sotto il North Rim).
Clifford Mahooty e Dan Simplicio hanno raccolto informazioni tramandate dalle generazioni passate alle generazioni attuali (gli Zuni possiedono una lingua unica non scritta, lo Zunian, pertanto i racconti e le canzoni sono da sempre narrati dai cantastorie) hanno esaminato le leggende e le poesie che rievocano la storia della creazione attuata da esseri soprannaturali venuti dal cielo per insegnare agli uomini e alle donne come condurre al meglio la loro vita, ma soprattutto hanno trovato dei riscontri, a loro dire rilevanti, nei tanti petroglifi incisi sulle rocce nel deserto del Nuovo Messico.
Attraverso la decifrazione e l'interpretazione delle incisioni si cerca di rispondere alle domande con lo studio della più intima simbologia adoperata da questi Indiani per esporre le proprie nozioni sull'universo e sui misteri della vita.
E' possibile che gli antichi siano stati testimoni di qualcosa di straordinario che rappresentarono con gli unici mezzi di cui disponevano.
Nelle culture degli abitanti del Nuovo Mondo e quella zuni è peculiare, troviamo l'affascinante leggenda del popolo delle stelle che arrivò sulla Terra, con l'intento di riprodursi, a bordo di "navi spaziali": in passato i vecchi tra gli Zuni parlavano di una nave volante somigliante a un grosso uccello precipitata su un altipiano poco lontano dal villaggio di Zuni e gli Zuni, popolo superstizioso, sono da sempre attenti a quello che accade sopra le loro teste come denota l'elezione di un pekwin (il sacerdote del Sole) con il compito di seguire il percorso del Sole annotandolo su una parete della propria casa.
Studiando i petroglifi, Clifford Mahooty e Dan Simplicio si sono accorti che vi compaiono numerose figure a forma di stella (avrebbero individuato la supernova della Nebulosa del Granchio e altri corpi celesti). Pare che gli antichi zuni abbiano realizzato queste incisioni, descrivendo il luogo dell'universo da cui siamo venuti, intorno al 1200 a.C. eppure vi sono rappresentati personaggi che richiamano alla mente i moderni astronauti e che i Nativi definiscono "uomini dello spazio" o "custodi del mondo superiore" o ancora "esseri stellari". Il popolo del cielo, d'altra parte, rientra tuttora nella mitologia e nelle pratiche religiose degli indiani Zuni.
Per gli Zuni, oltre ai vari miti dedicati alle singole
costellazioni, è degna di nota la “cosmogonia dua-
listica, ossia la concezione che spiega l'origine e la
struttura dell'universo formato dai regni sacri, da
una parte, e dal problematico e limitato mondo degli
uomini, dall'altra. I racconti sacri del Popolo Zuni,
inoltre, descrivono il cosmo costituito da sette sfere
attraversate da un asse verticale:
1) la sfera del Sole Padre;
2) la sfera della Luna Madre;
3) la sfera della Madre Terra;
4) la sfera degli Dei Gemelli;
5) la sfera della Dea del Mais;
6) la sfera dei Danzatori mascherati;
7) la sfera degli Dei Teriomorfi.
Mito della Creazione Zuni
All'inizio dei tempi Awonawilona viveva con Padre Sole e Madre Luna in alto, mentre Shiwanni e sua moglie Shiwanokia in basso. I sacerdoti della pioggia Zuni si chiamano Ashiwanni e la sacerdotessa della fecondità è Shiwanokia in onore di queste creature potenti che lavoravano con la mente e con il cuore.
All'epoca il mondo era avvolto nella nebbia (shipololo) che saliva al cielo come vapore, così Awanowilona con il proprio respiro creò le nuvole e i mari. Le nuvole, nate dal respiro del dio, sono gialle a nord, verde-azzurro a ovest, rosse al sud e argento a est. Le nuvole di fumo bianco e di fumo nero invece divennero parte integrante di Awanowilona, perché egli stesso è aria e attraverso la luce, le nuvole e l'aria egli fu il Creatore di tutta la vegetazione (la concezione Zuni di Awonawilona è simile a quella greca di Atena). A quel punto Shiwanni disse alla propria moglie che anche lui aveva intenzione di creare qualcosa e allora dalla propria saliva diede vita alle stelle e alle costellazioni che riempirono di felicità Shiwanokia che allo stesso modo creò la Madre Terra.
Come altre tribù indiane, anche gli Zuni chiamano la gente venuta dal cielo kachinas. In base alla storia della creazione Zuni, i kachinas scesero dal cielo sulla terra in tempi remotissimi attraverso un "portale speciale" con l'obiettivo di insegnare ai loro fratelli "minori" la retta via, ricongiungendoli alle leggi della creazione e donando loro cibo, conoscenza e saggezza, per destarli dal loro stato primitivo e aiutandoli con la loro esperienza. C'è un luogo d'emergenza, in quanto è l'entrata del quarto mondo (l'aldilà), che è il simbolo del posto da dove arrivano e dove si recano i kachinas: si chiama sipapu (gli Hopi identificano il sipapu, attraverso cui avrebbero fatto il loro ingresso nel mondo, con la sorgente d'acqua calda a forma di cupola che fuoriesce nei pressi della confluenza del Piccolo Colorado con il Colorado) vi fanno il loro ingresso i danzatori mascherati, basandosi su un calendario realizzato seguendo i ritmi delle stagioni e i solstizi d'estate e d'inverno; un cunicolo che porta sottoterra collega le kiwas al sipapu (il centro dei centri). Gli Zuni vennero trasportati nel mondo della luce (dove siamo noi oggi) da esseri provenienti dal cielo e ancora oggi a questi esseri soprannaturali, personificati dai danzatori mascherati, vengono dedicate cerimonie e danze che talora assumono toni di rappresentazione anche drammatici.
Ogni anno, tra la fine di novembre e gli inizi di dicembre, presso gli Zuni (tra gli indiani Hopi esistono tre cerimonie principali: il Soyal a fine dicembre, il Powamu o Danza del Fagiolo in febbraio e l'ultima a metà estate) viene organizzata la festa dello Shalako, una cerimonia importante durante la quale i danzatori scelti l'anno prima dopo avere studiato preghiere, provato a lungo le danze, effettuato sacrifici e pellegrinaggi indossano i tradizionali costumi che rappresentano i kachinas e celebrano l'arrivo degli dei sulla Terra. Il rituale si protrae per l'intera nottata all'interno di alcune abitazioni opportunamente allestite, segue una sorta di benedizione con offerta di bastoncini per la preghiera (ai bastoncini da preghiera vengono applicate conchiglie, penne -portatrici del respiro della preghiera- per le offerte agli spiriti che vengono invocati; i bastoncini vengono prima consacrati nel fumo del tabacco o con aspersioni di farina di mais) e di cibo.
Gli Zuni ritengono che quando i messaggeri degli
spiriti delle nuvole hanno posseduto una propria
maschera in vita, dopo la morte possono ritornare
a vivere sotto forma di spirito, appropriandosi del-
la maschera di un danzatore vivente. Attraverso
una preghiera che coinvolge i tuoni e i fulmini, gli
Indiani Zuni credono si possa permettere ai de-
funti di tornare sulla terra con le sembianze di una
nuvola. Essi non vengono più chiamati con il loro
nome , né riescono a parlare potendosi esprimere
per la maggior parte delle volte con versi e grida
di animali in particolare di cervo: del resto si
riteneva che i membri della «società kachina»
avessero la possibilità dopo la morte di rinascere
come cervi.
Se osserviamo le bamboline kachinas, che rappresentano gli dei discesi dal cielo, possiamo notare come alcune di esse sembrino indossare strani caschi e addirittura tute che somigliano alle tute spaziali moderne, quegli stessi caschi e quelle stesse tute che si ritrovano incise nei petroglifi del Nuovo Messico e che rendono i personaggi raffigurati così simili agli odierni astronauti.
Del resto, anche solo da una lettura superficiale dei vari miti e leggende dei popoli del mondo, emerge spesso la presenza di creature provenienti dal cielo e dalle stelle che hanno avuto un ruolo determinante nella creazione dell'uomo e che sovente sono assimilati a dei: per rimanere nell'ambito della cultura nativo-americana, non solo gli indiani Zuni parlano di "esseri stellari", ma anche i Cherokee, gli Hopi, i Navajo e altri; nel gruppo delle religioni indiane si annoverano i culti dei popoli autoctoni del continente americano; nel 1830 nel Nord America i Nativi furono confinati in riserve, che comprendono circa trecento tribù, si adorava per lo più il Grande Spirito che genera la vita e la guida. Funzioni importanti vengono svolte dalla Sacra Pipa e dalle Danze. Presso i Cherokee si racconta che uno sparuto gruppo di cacciatori, attirato da due strane luci in cielo, le seguirono e arrivarono al cospetto di un paio di grossi esseri tondi simili a tartarughe piumate. Condussero le due grosse creature al loro villaggio ma presto esse mutarono in due palle di fuoco e si sollevarono da terra librandosi nel cielo: un misto tra una strana tartaruga e un disco volante per chi vuole vedere misteri a tutti i costi.
Tra gli Hopi si celebra la "festa della danza della tartaruga": questa cerimonia, l'Oku Shadei, consiste in danze e canti che raccontano dei due kachinas che sbarcarono sulla terra proprio da una grossa tartaruga (la tartaruga presso gli indiani Pueblo è considerata un animale sacro proprio perché incarna il mezzo di trasporto attraverso cui i kachinas si manifestarono nel mondo e monumenti rappresentanti tartarughe si rinvengono anche in Messico in cui la tartaruga è un animale "totemico", per esempio a Chichén Itzà, la principale divinità di Itzà emerse infatti da un guscio di tartaruga). Inoltre, ma questa è storia recente, si racconta che alcuni giovani Hopi il 13 agosto 1947, un mese dopo il presunto incidente di Roswell, salvarono un alieno precipitato con il proprio velivolo e lo chiamarono Stella Maggiore. L'alieno avrebbe raccontato agli Hopi la vera storia della terra, aggiungendo che gli uomini sono il risultato di un progetto genetico riuscito da parte di esseri extraterrestri.
I Navajo invece avevano battezzato la Valle della Morte in California, Tomesha ossia "Terra Fiammeggiante": secondo le loro tradizioni era abitata da esseri che normalmente vivevano sottoterra ma che viaggiavano a bordo di veicoli volanti in grado di effettuare manovre repentine che spostandosi emettevano un forte suono e che i “cultori del mistero a tutti i costi” ovviamente identificano con UFO. C'è chi azzarda l'ipotesi che la Valle della Morte possa essere stata addirittura teatro di una guerra atomica di cui tuttora recherebbe le tracce in città vetrificate come quella che nel 1850 l'esploratore americano capitano Ives William Walker avrebbe scoperto.
Una leggenda comune a varie Nazioni è invece quella dell'"Uccello del Tuono": due cacciatori scorsero uno strano essere riconducibile a un grosso uccello ma anche a una sorta di razzo, uscire da un lago ed emettere un accecante bagliore e un fragoroso rumore. Sia i Chippewa sia i Sioux associano all'Uccello del Tuono il dio Wakon. Curiosamente gli indios Waikano del Mato Grosso venerano il dio Wako arrivato sulla terra dal Rio delle Amazzoni scortato da una flotta di barche tonde come gusci di tartaruga e la tribù dei Karibi (Antille) ha il dio grande Wako con poteri straordinari e proveniente da lontano a bordo di strane navi volanti.
Gli Zuni, come la maggior parte degli uomini a tutte le latitudini e di ogni tempo hanno scrutato il cielo per collocarvi i loro dei e spiegare l'origine del mondo: è oltremodo curioso che abbiano raffigurato nei petroglifi del Nuovo Messico strani individui dalle grosse teste quadrate che sembrano indossare caschi e tute spaziali simili all'attrezzatura indossata dai moderni astronauti e che questi vengano ripresi sia nell'aspetto delle bamboline kachinas e dai costumi dei danzatori mascherati; se tutto questo risulta indubbiamente molto affascinante, resta il fatto che appare altamente improbabile che la Terra sia stata visitata da intelligenze extraterrestri.
Oggi sappiamo che alcuni satelliti di Giove e di Saturno potrebbero ospitare forme di vita molto elementari e sappiamo anche che le stesse leggi fisiche vigono in tutto l'universo, ma la maggior parte dei pianeti extrasolari presenta orbite troppo allungate del tutto incompatibili con la vita a causa degli intollerabili sbalzi di temperatura; inoltre affinché un pianeta possa ospitare la vita deve ruotare attorno a una stella: di fatto più della metà delle stelle appartiene a sistemi binari il che complica molto le cose.
Se partiamo dal presupposto che nell'universo esistono centinaia di miliardi di galassie e che ciascuna di esse può contenere migliaia di miliardi di stelle, anche solo per la legge dei grandi numeri, è altamente probabile che esistano pianeti simili al nostro o che comunque mostrino le condizioni idonee allo sviluppo della vita: si stima possano esserci circa 10 milioni di possibili mondi di cui circa un terzo pronti a ospitare la vita, ma è davvero molto difficile comunicare con loro e praticamente impossibile viaggiare attraverso questi sistemi planetari.
Fonti bibliografiche:
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-Brezzi Francesca, Dizionario delle religioni, Edizioni riuniti, Roma 1997
-Chevalier Jean e Gheerbrant Alain, Dizionario dei simboli, Bur-Rizzoli, Milano 2010 (Titolo originale: Dictionnaire des Symboles, 1969) Volume Secondo
-Childress David H., Misteri e segreti delle antiche civiltà, le piramidi, le costruzioni megalitiche, i «fuochi sacri», la proto-metallurgia, le navi volanti e le altre enigmatiche, geniali invenzioni di epoche lontane, Newton & Compton Editori, Roma 2006 (Titolo originale: Technology of the Gods, 2000)
-Fagan Brian M., Antiche civiltà precolombiane, segreti e misteri alla scoperta di mondi perduti, Newton & Compton editori, Roma 1980 (Titolo originale: Elusive Treasure, 1977)
-Fuso Silvano, Il libro dei misteri svelati, una lucida analisi denuncia millenni di superstizioni e inganni interessati, Castelvecchi, Roma 2010
-Hack Margherita, Dove nascono le stelle, Sperling & Kupfer, Milano 2005
-Miti e leggende degli Indiani d'America (a cura di Franco Meli) Fabbri Editori, Milano 2001
-Owusu Heike, I simboli degli Indiani d'America, l'essenza della tradizione pellerossa, Edizioni Il Punto d'Incontro, Vicenza 1999 (Titolo originale: Symbole der Indianer Nordamerikas, 1997)
-Riti e Misteri degli Indiani d'America (a cura di Enrico Comba) Utet, Torino 2003
-Simboli sacri, I Nativi Americani, Armenia, Milano 1998 (Titolo originale: Sacred Symbols: Native Americans, 1996)
-Storia delle Religioni, Americhe, Africa, Oceania (a cura di Giovanni Filoramo) Gius. Laterza & Figli 2005 (La Biblioteca di Repubblica, Roma)
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-Wood Marion, Miti e civiltà dei Pellerossa, De Agostini Ragazzi, Cremona 1998
Internet:
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http://luckyjor.org/INDIANSITO/HOME/PAGHOME.htm
- Enigmi Alieni 02 - I Visitatori
https://www.youtube.com/watch?v=BWt0KeOQuuo
- Glossario del «La Dottrina Segreta», Zuni
http://www.spiritual.it/it/glossario-de-la-dottrina-segreta/zuni,10,11013
- La Nazione Americana - Gli Indiani d'America
http://samorini.it/site/mitologia/brugmansia/mito-datura-zuni/
- Miti e Leggende dei Nativi Americani parlano di Esseri venuti dalle stelle
http://noiegliextraterrestri.blogspot.it/2010/11/gli-esseri-stellari-nei-miti-e-leggende.html
- Rito di purificazione nell'acqua
http://ivanmeacci.blogspot.it/2009/06/rito-di-purificazione-nellacqua.html
- Treccani- Enciclopedie on line, Zuni
http://www.treccani.it/enciclopedia/zuni/
Questo e altri art. si possono leggere nel mio Blog: http://clubdelmistero.altervista.org/
Gli indiani Zuni considerano
Awonawilona il creatore ori-
ginario, colui che prima si
trasformò in Sole e poi gene-
rò le nuvole che a loro volta
diedero vita al mare, infine
arrivò la Madre Terra.
Il nome Zuni deriva da Sunyits, vocabolo dall'etimologia ignota; sono chiamati anche Àshiwi. Si pensa che con i Navajo e gli Hopi possano essere i discendenti diretti degli Anasazi. Si distinguono per il prezioso lavoro di intaglio delle pietre e per le splendide terrecotte decorate; essendo stati per secoli agricoltori i loro culti sono strettamente legati alla terra, alla stagione del raccolto e al cielo. L'organizzazione sociale e religiosa del popolo Zuni si basa su quattro livelli allo stesso tempo sovrapposti e integrati (i clan, i gruppi delle kiwas - a formare "la Società dei Kachina"- le società terapeutiche e infine le società sacerdotali). I 13 clan sono raggruppati nelle cosiddette sette fratrie. A questo proposito c'è da sottolineare l'importanza del numero sette per gli Zuni: la città "santa" Zuni che è considerata il Centro del Mondo è infatti suddivisa in sette parti corrispondenti ai sette quartieri del mondo. Questa città è stata edificata unendo sette villaggi molto antichi che ripropongono la medesima divisione del cosmo (cfr. le sette sfere). D'altra parte i loro antichi villaggi erano raggruppati di sei in sei con al centro un settimo villaggio e sulla base del principio settenario è fondata anche la gerarchia sacerdotale formata da sei Sacerdoti della Casa, sintetizzati nella Sacerdotessa Madre (la settima appunto). Ogni anno vengono scambiati cereali di vari colori: durante le cerimonie il rappresentante di ogni regione riceve un chicco di grano simbolico: bianco (est) cui è associato il Lupo Bianco, giallo (nord) cui è associato il Leone di Montagna, rosso (sud) legato al Tasso Rosso, azzurro (ovest) accoppiato all'Orso blu, nero (basse regioni sotterranee), legato alla Talpa Nera del Nadir, una spiga multicolore (regioni superiori del cielo) associata all'Aquila Splendente o Multicolore dello Zenit, infine, il punto centrale sintetizza e comprende gli altri sei. Gli Zuni hanno gruppi segreti e la loro società è di stampo matrilineare: si stabilisce al momento della nascita che l'individuo appartiene al clan della propria madre, tuttavia è in qualche modo "figlio" anche del clan del padre. Il bambino a 8 anni circa viene "iniziato" in un gruppo kiwa (gruppo maschile) scelto da uno dei genitori, ma nell'arco della propria vita un uomo può scegliere anche un altro gruppo kiwa. Appartenere a una società terapeutica (aperta anche alle donne) è cosa diversa che dipende dall'avere una malattia o dal fare una richiesta di guarigione, infine il clan di cui si fa parte influisce sulla possibilità o no di diventare sacerdote; comunque il culto più importante rimane quello dei Kachina.
Il primo contatto tra gli indiani Zuni, un tempo stanziati in un'ampia area tra il Nuovo Messico e l'Arizona, e gli Europei si registrò negli anni Trenta del XVI secolo, nemmeno vent'anni dopo la pesante sconfitta subita dagli Aztechi del Messico per mano di Cortés, allorché frate Marco di Nizza fu incaricato dal viceré di Spagna di guidare una spedizione affiancato da un ex-schiavo di nome Estevanico, per rintracciare le leggendarie Sette Città di Cibola, le cui strade si diceva fossero ricoperte d'oro, e invece s'imbatté in alcuni villaggi Zuni scevri delle immense ricchezze ambite dagli Spagnoli: frate Marco individuò da un'altura i muri chiari di mattoni che a suo dire brillavano come oro al sole e ne fu abbagliato. Qualcuno allora ritenne che il francescano e i suoi uomini si sarebbero dovuti spingere oltre, alla ricerca dell'oro, e così l'anno dopo partì un gruppo decisamente più corposo, composto da oltre 300 soldati spagnoli che si arruolarono come volontari senza salario, più un centinaio di Nativi, per così dire alleati, capitanati da Francisco Vasquez de Coronado, giovane hidalgo di stirpe nobile già governatore militare, con lo scopo di asservire le Sette Città di Cibola al sovrano di Spagna.
Alla fine la leggenda delle favolose città si infranse miseramente: le Sette Città di Cibola, esaltate dai cronisti dell'epoca, ingigantite dal passaparola, sognate dagli esploratori erano ancora una volta i villaggi Zuni sorti sull'alto corso del fiume Zuni, composti da case ad alveare alte fino a sette piani con poche camere e senza cortile, nelle quali non fu rinvenuta traccia d'oro né di pietre preziose.
La zona venne occupata nel 1598 dalle truppe di Juan de Oñate, che aspirava nuovamente a scoprire città traboccanti d'oro, accecato dall'effimera illusione dell'El Dorado: i suoi abitanti erano quelli che i Conquistadores descrivevano come i miti Indios de los Pueblos (il nome "pueblo" che indica le popolazioni del Sudovest vuol dire "villaggio" e lo si deve proprio agli Spagnoli che vi giunsero per l'appunto sul finire del XVI secolo) in contrapposizione ai nomadi Indios barbaros abituati ad assalire di sorpresa.
I missionari francescani purtroppo tentarono di imporre con la forza la religione cattolica:
1) vietando le cerimonie della tradizione;
2) imprigionando i capi;
3) distruggendo i luoghi sacri rappresentati dalle kiwas (stanze cerimoniali a pianta circolare semi-sotterranee atte a ospitare i rituali segreti).
La vita dell'intera comunità ruotava intorno ai sacri culti e la castrazione delle tradizioni native operata sistematicamente dai religiosi europei naturalmente ne minava le fondamenta: i Nativi, portati all'esasperazione, si ribellarono e il 10 agosto 1680 vennero uccisi 21 missionari e circa 400 coloni. La risposta, non immediata, fu una sanguinosa campagna di repressione e di riconquista, ma gli Zuni trovarono rifugio in una delle loro roccaforti più sicure in cima a un'alta e inaccessibile mesa. Nel 2000 furono censiti 7758 indiani Zuni. Oggi si ritiene siano circa 5000, confinati nella loro riserva di 40.000 acri a una trentina di miglia a sud di Gallup in una regione sul margine nord-occidentale del Nuovo Messico dove da coltivatori di mais, fagioli e zucca sono per lo più diventati allevatori di bestiame e dove più di ogni altra tribù ancora oggi custodiscono gelosamente le proprie tradizioni culturali e le profonde conoscenze astronomiche.
Le loro tradizioni e le loro credenze oggi sopravvivono nello straordinario sistema di preghiere, negli antichi rituali della mitologia e nei canti che vengono recuperati e attentamente indagati dall'anziano della tribù Clifford Mahooty e dall'archeologo Dan Simplicio, grazie ai quali sta riemergendo la storia segreta di questo Popolo: una delle tribù indigene più antiche del Nord America (si pensa abitino nell'odierno Nuovo Messico da quasi 2000 anni, alcuni Zuni che oggi vivono in Nuovo Messico proverrebbero dalle Rainbow Falls, sotto il North Rim).
Clifford Mahooty e Dan Simplicio hanno raccolto informazioni tramandate dalle generazioni passate alle generazioni attuali (gli Zuni possiedono una lingua unica non scritta, lo Zunian, pertanto i racconti e le canzoni sono da sempre narrati dai cantastorie) hanno esaminato le leggende e le poesie che rievocano la storia della creazione attuata da esseri soprannaturali venuti dal cielo per insegnare agli uomini e alle donne come condurre al meglio la loro vita, ma soprattutto hanno trovato dei riscontri, a loro dire rilevanti, nei tanti petroglifi incisi sulle rocce nel deserto del Nuovo Messico.
Attraverso la decifrazione e l'interpretazione delle incisioni si cerca di rispondere alle domande con lo studio della più intima simbologia adoperata da questi Indiani per esporre le proprie nozioni sull'universo e sui misteri della vita.
E' possibile che gli antichi siano stati testimoni di qualcosa di straordinario che rappresentarono con gli unici mezzi di cui disponevano.
Nelle culture degli abitanti del Nuovo Mondo e quella zuni è peculiare, troviamo l'affascinante leggenda del popolo delle stelle che arrivò sulla Terra, con l'intento di riprodursi, a bordo di "navi spaziali": in passato i vecchi tra gli Zuni parlavano di una nave volante somigliante a un grosso uccello precipitata su un altipiano poco lontano dal villaggio di Zuni e gli Zuni, popolo superstizioso, sono da sempre attenti a quello che accade sopra le loro teste come denota l'elezione di un pekwin (il sacerdote del Sole) con il compito di seguire il percorso del Sole annotandolo su una parete della propria casa.
Studiando i petroglifi, Clifford Mahooty e Dan Simplicio si sono accorti che vi compaiono numerose figure a forma di stella (avrebbero individuato la supernova della Nebulosa del Granchio e altri corpi celesti). Pare che gli antichi zuni abbiano realizzato queste incisioni, descrivendo il luogo dell'universo da cui siamo venuti, intorno al 1200 a.C. eppure vi sono rappresentati personaggi che richiamano alla mente i moderni astronauti e che i Nativi definiscono "uomini dello spazio" o "custodi del mondo superiore" o ancora "esseri stellari". Il popolo del cielo, d'altra parte, rientra tuttora nella mitologia e nelle pratiche religiose degli indiani Zuni.
Per gli Zuni, oltre ai vari miti dedicati alle singole
costellazioni, è degna di nota la “cosmogonia dua-
listica, ossia la concezione che spiega l'origine e la
struttura dell'universo formato dai regni sacri, da
una parte, e dal problematico e limitato mondo degli
uomini, dall'altra. I racconti sacri del Popolo Zuni,
inoltre, descrivono il cosmo costituito da sette sfere
attraversate da un asse verticale:
1) la sfera del Sole Padre;
2) la sfera della Luna Madre;
3) la sfera della Madre Terra;
4) la sfera degli Dei Gemelli;
5) la sfera della Dea del Mais;
6) la sfera dei Danzatori mascherati;
7) la sfera degli Dei Teriomorfi.
Mito della Creazione Zuni
All'inizio dei tempi Awonawilona viveva con Padre Sole e Madre Luna in alto, mentre Shiwanni e sua moglie Shiwanokia in basso. I sacerdoti della pioggia Zuni si chiamano Ashiwanni e la sacerdotessa della fecondità è Shiwanokia in onore di queste creature potenti che lavoravano con la mente e con il cuore.
All'epoca il mondo era avvolto nella nebbia (shipololo) che saliva al cielo come vapore, così Awanowilona con il proprio respiro creò le nuvole e i mari. Le nuvole, nate dal respiro del dio, sono gialle a nord, verde-azzurro a ovest, rosse al sud e argento a est. Le nuvole di fumo bianco e di fumo nero invece divennero parte integrante di Awanowilona, perché egli stesso è aria e attraverso la luce, le nuvole e l'aria egli fu il Creatore di tutta la vegetazione (la concezione Zuni di Awonawilona è simile a quella greca di Atena). A quel punto Shiwanni disse alla propria moglie che anche lui aveva intenzione di creare qualcosa e allora dalla propria saliva diede vita alle stelle e alle costellazioni che riempirono di felicità Shiwanokia che allo stesso modo creò la Madre Terra.
Come altre tribù indiane, anche gli Zuni chiamano la gente venuta dal cielo kachinas. In base alla storia della creazione Zuni, i kachinas scesero dal cielo sulla terra in tempi remotissimi attraverso un "portale speciale" con l'obiettivo di insegnare ai loro fratelli "minori" la retta via, ricongiungendoli alle leggi della creazione e donando loro cibo, conoscenza e saggezza, per destarli dal loro stato primitivo e aiutandoli con la loro esperienza. C'è un luogo d'emergenza, in quanto è l'entrata del quarto mondo (l'aldilà), che è il simbolo del posto da dove arrivano e dove si recano i kachinas: si chiama sipapu (gli Hopi identificano il sipapu, attraverso cui avrebbero fatto il loro ingresso nel mondo, con la sorgente d'acqua calda a forma di cupola che fuoriesce nei pressi della confluenza del Piccolo Colorado con il Colorado) vi fanno il loro ingresso i danzatori mascherati, basandosi su un calendario realizzato seguendo i ritmi delle stagioni e i solstizi d'estate e d'inverno; un cunicolo che porta sottoterra collega le kiwas al sipapu (il centro dei centri). Gli Zuni vennero trasportati nel mondo della luce (dove siamo noi oggi) da esseri provenienti dal cielo e ancora oggi a questi esseri soprannaturali, personificati dai danzatori mascherati, vengono dedicate cerimonie e danze che talora assumono toni di rappresentazione anche drammatici.
Ogni anno, tra la fine di novembre e gli inizi di dicembre, presso gli Zuni (tra gli indiani Hopi esistono tre cerimonie principali: il Soyal a fine dicembre, il Powamu o Danza del Fagiolo in febbraio e l'ultima a metà estate) viene organizzata la festa dello Shalako, una cerimonia importante durante la quale i danzatori scelti l'anno prima dopo avere studiato preghiere, provato a lungo le danze, effettuato sacrifici e pellegrinaggi indossano i tradizionali costumi che rappresentano i kachinas e celebrano l'arrivo degli dei sulla Terra. Il rituale si protrae per l'intera nottata all'interno di alcune abitazioni opportunamente allestite, segue una sorta di benedizione con offerta di bastoncini per la preghiera (ai bastoncini da preghiera vengono applicate conchiglie, penne -portatrici del respiro della preghiera- per le offerte agli spiriti che vengono invocati; i bastoncini vengono prima consacrati nel fumo del tabacco o con aspersioni di farina di mais) e di cibo.
Gli Zuni ritengono che quando i messaggeri degli
spiriti delle nuvole hanno posseduto una propria
maschera in vita, dopo la morte possono ritornare
a vivere sotto forma di spirito, appropriandosi del-
la maschera di un danzatore vivente. Attraverso
una preghiera che coinvolge i tuoni e i fulmini, gli
Indiani Zuni credono si possa permettere ai de-
funti di tornare sulla terra con le sembianze di una
nuvola. Essi non vengono più chiamati con il loro
nome , né riescono a parlare potendosi esprimere
per la maggior parte delle volte con versi e grida
di animali in particolare di cervo: del resto si
riteneva che i membri della «società kachina»
avessero la possibilità dopo la morte di rinascere
come cervi.
Se osserviamo le bamboline kachinas, che rappresentano gli dei discesi dal cielo, possiamo notare come alcune di esse sembrino indossare strani caschi e addirittura tute che somigliano alle tute spaziali moderne, quegli stessi caschi e quelle stesse tute che si ritrovano incise nei petroglifi del Nuovo Messico e che rendono i personaggi raffigurati così simili agli odierni astronauti.
Del resto, anche solo da una lettura superficiale dei vari miti e leggende dei popoli del mondo, emerge spesso la presenza di creature provenienti dal cielo e dalle stelle che hanno avuto un ruolo determinante nella creazione dell'uomo e che sovente sono assimilati a dei: per rimanere nell'ambito della cultura nativo-americana, non solo gli indiani Zuni parlano di "esseri stellari", ma anche i Cherokee, gli Hopi, i Navajo e altri; nel gruppo delle religioni indiane si annoverano i culti dei popoli autoctoni del continente americano; nel 1830 nel Nord America i Nativi furono confinati in riserve, che comprendono circa trecento tribù, si adorava per lo più il Grande Spirito che genera la vita e la guida. Funzioni importanti vengono svolte dalla Sacra Pipa e dalle Danze. Presso i Cherokee si racconta che uno sparuto gruppo di cacciatori, attirato da due strane luci in cielo, le seguirono e arrivarono al cospetto di un paio di grossi esseri tondi simili a tartarughe piumate. Condussero le due grosse creature al loro villaggio ma presto esse mutarono in due palle di fuoco e si sollevarono da terra librandosi nel cielo: un misto tra una strana tartaruga e un disco volante per chi vuole vedere misteri a tutti i costi.
Tra gli Hopi si celebra la "festa della danza della tartaruga": questa cerimonia, l'Oku Shadei, consiste in danze e canti che raccontano dei due kachinas che sbarcarono sulla terra proprio da una grossa tartaruga (la tartaruga presso gli indiani Pueblo è considerata un animale sacro proprio perché incarna il mezzo di trasporto attraverso cui i kachinas si manifestarono nel mondo e monumenti rappresentanti tartarughe si rinvengono anche in Messico in cui la tartaruga è un animale "totemico", per esempio a Chichén Itzà, la principale divinità di Itzà emerse infatti da un guscio di tartaruga). Inoltre, ma questa è storia recente, si racconta che alcuni giovani Hopi il 13 agosto 1947, un mese dopo il presunto incidente di Roswell, salvarono un alieno precipitato con il proprio velivolo e lo chiamarono Stella Maggiore. L'alieno avrebbe raccontato agli Hopi la vera storia della terra, aggiungendo che gli uomini sono il risultato di un progetto genetico riuscito da parte di esseri extraterrestri.
I Navajo invece avevano battezzato la Valle della Morte in California, Tomesha ossia "Terra Fiammeggiante": secondo le loro tradizioni era abitata da esseri che normalmente vivevano sottoterra ma che viaggiavano a bordo di veicoli volanti in grado di effettuare manovre repentine che spostandosi emettevano un forte suono e che i “cultori del mistero a tutti i costi” ovviamente identificano con UFO. C'è chi azzarda l'ipotesi che la Valle della Morte possa essere stata addirittura teatro di una guerra atomica di cui tuttora recherebbe le tracce in città vetrificate come quella che nel 1850 l'esploratore americano capitano Ives William Walker avrebbe scoperto.
Una leggenda comune a varie Nazioni è invece quella dell'"Uccello del Tuono": due cacciatori scorsero uno strano essere riconducibile a un grosso uccello ma anche a una sorta di razzo, uscire da un lago ed emettere un accecante bagliore e un fragoroso rumore. Sia i Chippewa sia i Sioux associano all'Uccello del Tuono il dio Wakon. Curiosamente gli indios Waikano del Mato Grosso venerano il dio Wako arrivato sulla terra dal Rio delle Amazzoni scortato da una flotta di barche tonde come gusci di tartaruga e la tribù dei Karibi (Antille) ha il dio grande Wako con poteri straordinari e proveniente da lontano a bordo di strane navi volanti.
Gli Zuni, come la maggior parte degli uomini a tutte le latitudini e di ogni tempo hanno scrutato il cielo per collocarvi i loro dei e spiegare l'origine del mondo: è oltremodo curioso che abbiano raffigurato nei petroglifi del Nuovo Messico strani individui dalle grosse teste quadrate che sembrano indossare caschi e tute spaziali simili all'attrezzatura indossata dai moderni astronauti e che questi vengano ripresi sia nell'aspetto delle bamboline kachinas e dai costumi dei danzatori mascherati; se tutto questo risulta indubbiamente molto affascinante, resta il fatto che appare altamente improbabile che la Terra sia stata visitata da intelligenze extraterrestri.
Oggi sappiamo che alcuni satelliti di Giove e di Saturno potrebbero ospitare forme di vita molto elementari e sappiamo anche che le stesse leggi fisiche vigono in tutto l'universo, ma la maggior parte dei pianeti extrasolari presenta orbite troppo allungate del tutto incompatibili con la vita a causa degli intollerabili sbalzi di temperatura; inoltre affinché un pianeta possa ospitare la vita deve ruotare attorno a una stella: di fatto più della metà delle stelle appartiene a sistemi binari il che complica molto le cose.
Se partiamo dal presupposto che nell'universo esistono centinaia di miliardi di galassie e che ciascuna di esse può contenere migliaia di miliardi di stelle, anche solo per la legge dei grandi numeri, è altamente probabile che esistano pianeti simili al nostro o che comunque mostrino le condizioni idonee allo sviluppo della vita: si stima possano esserci circa 10 milioni di possibili mondi di cui circa un terzo pronti a ospitare la vita, ma è davvero molto difficile comunicare con loro e praticamente impossibile viaggiare attraverso questi sistemi planetari.
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-Childress David H., Misteri e segreti delle antiche civiltà, le piramidi, le costruzioni megalitiche, i «fuochi sacri», la proto-metallurgia, le navi volanti e le altre enigmatiche, geniali invenzioni di epoche lontane, Newton & Compton Editori, Roma 2006 (Titolo originale: Technology of the Gods, 2000)
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-Fuso Silvano, Il libro dei misteri svelati, una lucida analisi denuncia millenni di superstizioni e inganni interessati, Castelvecchi, Roma 2010
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Internet:
- American Indians
http://luckyjor.org/INDIANSITO/HOME/PAGHOME.htm
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https://www.youtube.com/watch?v=BWt0KeOQuuo
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http://www.spiritual.it/it/glossario-de-la-dottrina-segreta/zuni,10,11013
- La Nazione Americana - Gli Indiani d'America
http://samorini.it/site/mitologia/brugmansia/mito-datura-zuni/
- Miti e Leggende dei Nativi Americani parlano di Esseri venuti dalle stelle
http://noiegliextraterrestri.blogspot.it/2010/11/gli-esseri-stellari-nei-miti-e-leggende.html
- Rito di purificazione nell'acqua
http://ivanmeacci.blogspot.it/2009/06/rito-di-purificazione-nellacqua.html
- Treccani- Enciclopedie on line, Zuni
http://www.treccani.it/enciclopedia/zuni/
Questo e altri art. si possono leggere nel mio Blog: http://clubdelmistero.altervista.org/
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